I simboli contano in politica. E l’inaugurazione ieri della sede milanese di Fratelli d’Italia da parte di Giorgia Meloni significa molto: «Vogliamo essere un movimento che guarda alle istanze del ceto produttivo, che dà una risposta di centrodestra ai tanti elettori delusi che cercano un nuovo punto di riferimento rispetto alle politiche di un governo che costringe imprenditori a chiudere per le difficoltà della fatturazione elettronica, che alza le tasse, che blocca gli investimenti pubblici, che spreca risorse per un reddito di cittadinanza che non aiuta chi vuole lavorare e deprime l’economia».
Lo «sbarco» al Nord — dove il centrodestra è sempre stato rappresentato in massima parte da Lega e FI — è una sfida agli alleati? «Alle Europee si corre con il proporzionale ed è chiaro che c’è competizione. C’è grandissimo interesse di categorie, elettori, anche esponenti politici civici o di altri partiti nei nostri confronti, e da tempo. Ci riconoscono la coerenza, l’aver sempre rispettato i patti con gli elettori: non abbiamo flirtato con Renzi, non ci siamo alleati con il M5S. Abbiamo sempre avuto una parola sola. Tra un patto sottoscritto e presentato agli elettori e uno con un partito avversario come il M5S non abbiamo mai avuto dubbi su cosa scegliere…».
Sembrate sempre più lontani gli uni dagli altri: il centrodestra esiste ancora? «A livello locale l’alleanza funziona, e confido che anche in Abruzzo, dove corre il nostro candidato Marsilio, sapremo convincere gli elettori. Ma a livello nazionale non ci sono margini per rivedere la coalizione così come l’abbiamo conosciuta fino ad ora».
Che trasformazione ci si deve aspettare? «Fdl lavora ad un grande movimento sovranista e conservatore, per difendere gli interessi degli italiani e i valori della nostra identità e società. Puntiamo a costruire il secondo grande movimento che possa affiancarsi ad una Lega che è cresciuta molto ma che da sola non ha la forza per governare».
Quindi la sfida è a FI, e non ci saranno fusioni? «Nessuna fusione, non ci sono i margini. Siamo stati alleati e lo siamo a livello locale, ma non ci sono sufficienti punti di contatto per pensare ad un partito unico. Basti pensare alla visione europea: noi non vogliamo conservare, vogliamo una confederazioni di Stati liberi e sovrani non succubi delle burocrazie e al servizio della Francia e della Germania, che ad Aquisgrana hanno siglato un patto per dominare da super-Stato il resto dell’Europa. Noi vogliamo cambiare tutto».
Ma se il governo andasse in crisi dopo le Europee, lei come Berlusconi sarebbe disponibile a formarne un altro con Lega e pezzi del M5S? «Per mandare in crisi l’alleanza gialloverde di governo bisognerà ottenere risultati importanti alle Europee, e per questo lavoriamo. Ma non mi appassionano governi che si reggono sui voti dei voltagabbana, preferisco una strada che porti i cittadini ad esprimersi».