Nel Mondo circa 200 milioni di donne sono state costrette a subire l’asportazione del clitoride. Tre milioni di queste sono bambine. Questa forma di umiliazione – imposta da credenze religiose e aberrazioni culturali – ha gravi conseguenze per la salute e a lungo termine può determinare l’infertilità, infezioni e il rischio di morte per la madre durante il parto. In Italia il fenomeno è in crescita, a causa dell’aumento dei flussi migratori, e siamo quelli in Europa con il più alto numero di donne infibulate, tutte di origine egiziana e nigeriana.
L’apertura incontrollata delle frontiere ha contribuito infatti allo sviluppo di questa tortura, e l’escissione viene praticata da operatrici clandestine e in condizioni igienico sanitarie precarie. Le donne non denunciano per paura di ritorsioni da parte del clan familiare e a volte lo impongono alle proprie figlie per paura di essere escluse dal proprio gruppo sociale di provenienza.
Le Mgf sono pertanto una realtà significativa nel nostro territorio nazionale (solo in Umbria ne contiamo 600) ed è per questo che bisogna agire sulla informazione delle comunità straniere integrate e sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale.
Perchè il ricorso a queste pratiche trovi sempre minor diffusione è auspicabile anche che l’Europa realizzi un Protocollo sanitario uniforme per l’intera Unione, che aiuti il censimento e favorisca l’informazione e la diffusione della prevenzione del fenomeno, che rappresenta una grave violazione dei diritti umani fondamentali.
Lo scrive in una nota Cinzia Pellegrino, Coordinatore nazionale del dipartimento tutela Vittime di FdI-AN, nella Giornata Mondiale contro le mutilazioni genitali femminili.