di Massimo Corsaro
8 giugno 2013
Il bello delle elezioni è che, nel trambusto generale della dialettica politica e nelle logiche non sempre cristalline della comunicazione mediatica, quando la palla passa agli elettori i risultati sono oggettivi e inconfutabili.
Anche le recenti elezioni amministrative hanno quindi emesso il loro verdetto: cala la partecipazione, anche se meno di quanto sbandierato ove si consideri che in molte città 5 anni prima si era votato insieme alle politiche, con un naturale trascinamento nella partecipazione al voto; l’effetto Grillo ha già smesso di essere inarrestabile, è bastato che gli italiani capissero quanto inadeguata sia una classe dirigente improvvisata come la compagine parlamentare dei pentastellati; il PdL non è più un partito, ma solo la sigla che serve a Berlusconi per raccogliere i voti suoi personali, e quando il Capo non è in competizione il suo movimento crolla senza rete, facilitando alla sinistra la strada per una vittoria semplice, raccolta senza brillare.
E Fratelli d’Italia, ciò che qui maggiormente ci interessa, comincia a radicarsi, registrando percentuali di crescita incoraggianti, soprattutto perché all’incremento percentuale – determinato anche dalla minor partecipazione al voto degli elettori meno politicizzati – ha spesso fatto riscontro una crescita anche dei voti raccolti in valore assoluto.
È quindi il momento di chiederci che futuro dare al nostro soggetto politico, quale carattere assumere e con chi condividere la strada. Il nostro è, comunque la si voglia girare, l’unico movimento di destra che sia riuscito a sopravvivere allo tsunami elettorale.
Intorno a noi, nelle ultime settimane, è tutto un fiorire di incontri, offerte, commenti ed articoli sulla riunione delle schegge originate dalla diaspora degli “ex AN”. Siccome – quanto al “sentirsi di destra” – non temo confronti con alcuno e non nutro complessi di sudditanza verso nessuno, dico subito che la ricerca della “ridotta della Valtellina” non mi interessa.
Innanzitutto perché gran parte di quanti ne parlano ha avuto quanto meno la corresponsabilità di non avere impedito la deriva distruttiva che “l’uomo di Montecarlo” ha imposto ad una storia politica; e mi appare un po’ arrogante che gli stessi soggetti abbiano oggi l’ambizione di proporsi come gli ingegneri del nuovo edificio. E poi perché una scelta del genere indurrebbe chiunque non provenga da quelle fila a marginalizzarci nel ruolo dei testimoni di un passato remoto. Non eserciteremmo alcun appeal per costruire il futuro, e finiremmo per ospitare labari, gagliardetti e retoriche commemorazioni; azioni nobilissime se esercitate da circoli culturali, che diventano però inconcludenti se espressione di un soggetto politico.
Credo invece che, a destra, ci sia un grosso spazio di crescita potenziale, che possa accogliere i tanti che avevano creduto nella rivoluzione promessa dal Berlusconi del ’94, del 2001 e del 2008 e ne sono rimasti delusi. Quelli che hanno sperato nella costruzione di una democrazia moderna in cui sensibilità alternative si confrontino con l’obiettivo, almeno da destra, di modernizzare le istituzioni liberando cittadini e imprese dalla burocrazia e riacquistando allo Stato una dignità smarrita.
Oggi che il centrodestra come lo abbiamo conosciuto si è dissolto perdendo milioni di voti, e che il proprietario del PdL – pur nella legittima volontà di tutelare i propri interessi – appare politicamente figura che ha più passato dietro le spalle che futuro innanzi a sé, dobbiamo incarnare l’ambizione di chi sa di dover aprire il cantiere di un nuovo centrodestra.
Fallito, almeno per ora, il tentativo del partito unico, perché non credere che il domani della coalizione possa essere costituito da due soggetti: uno più centrista e bisognoso di essere comunque vicino alle stanze del potere, cui ragionevolmente potranno dare vita i soggetti del PdL oggi coinvolti nel governo dell’inciucio con la sinistra; l’altro più valoriale e portatore di identità politica. Un po’ come il modello che a lungo ha contraddistinto la destra francese, in grado di ospitare il centro giscardiano ed il movimento neogollista, entrambi saldamente alternativi alla sinistra.
Ecco, mi piace pensare che Fratelli d’Italia sia il primo mattone di una casa che, insieme ad altri che vengono da esperienze diverse, possa ospitare chi si riconosce in valori comuni.
Quei valori che, nell’accezione internazionale del termine, definiscono la sensibilità della destra: che sono l’esaltazione del merito e la negazione dell’egualitarismo; il senso di responsabilità della persona; l’etica dei comportamenti ed il rispetto verso le Istituzioni; la concezione della famiglia come espressione del diritto naturale; la cittadinanza come radicamento ad un complesso sistema di storia, appartenenza, tradizione, cultura e costumi; la lotta senza quartiere alla droga ed alle mafie; la negazione del relativismo culturale che, inibendo l’esaltazione delle differenze, induce ad accettare ogni forma di deriva etica e morale. Ma anche la difesa dell’imprenditorialità diffusa; il contenimento della spesa pubblica; l’abbassamento della pressione fiscale; l’abolizione dei vincoli burocratici; l’affermazione di una presenza non marginale dell’Italia in un’Europa che vorremmo meno supina a banchieri e massoni.
Insomma un soggetto che sappia essere liberale in economia quanto il PdL non è mai riuscito a divenire, e conservatore nei valori come avevamo immaginato fosse Alleanza Nazionale.
Che raccolga la sfida che il centrodestra di questi vent’anni non ha saputo o voluto accettare: incidere sull’idem sentire degli Italiani per cambiare la struttura di una società informata sulle parole d’ordine della sinistra, anche per la colpevole ignavia con cui il potere democristiano, per aver le mani libere nella gestione di affari ed interessi, ha per decenni consegnato al PCI ed ai sindacati l’egemonia culturale.
Far questo significa rinunciare a presunzioni o steccati verso chi ha avuto altre storie, ed anche cercare nuovi volti ed energie che sappiano offrire quella speranza di credibilità che gli italiani hanno mostrato di non riporre più nella politica.
Il progetto è ambizioso ma, a parer mio, è l’unico che possa offrire qualcosa all’Italia. In ogni altro caso, sarebbero solo gli attori di un disegno riduttivo a chiedere agli italiani il lasciapassare per la propria sopravvivenza politica. E, francamente, sarebbe un atteggiamento assai poco “di destra”.