di Giorgia Meloni 30 gennaio 2013
Le parole di stima e apprezzamento che Silvio Berlusconi mi ha rivolto ieri fanno piacere e testimoniano che, nonostante la scelta di uscire dal PdL, rimane la riconoscenza di un percorso comune fatto insieme in questi anni. La decisione di fondare Fratelli d’Italia, insieme a Guido Crosetto e Ignazio La Russa, non inficia il mio rispetto nei confronti dell’ex Presidente del Consiglio, ma accentua il rammarico per ciò che questa stagione politica poteva essere e non è stata in termini di rinnovamento dell’Italia.
La mia è stata una decisione che Berlusconi non ha mai compreso fino in fondo (e non poteva essere altrimenti), non avendo mai capito veramente l’abisso che ormai separa l’idea di un centrodestra moderno da ciò che è diventato il PdL oggi, non solo per colpa di Berlusconi. Ho cercato di mostrare a Berlusconi un’altra narrazione possibile rispetto a ciò che i suoi avviluppati consiglieri continuavano a raccontargli e cioè che un partito non è una corte decadente al seguito di un monarca bizzarro, né un comitato d’affari in mano a faccendieri e scarsi replicanti, ma lo strumento essenziale, in una democrazia, di mediazione tra società e politica e, per questo, è fondamentale esercitare il ruolo di selezione della classe dirigente.
Io, Crosetto e La Russa, avremmo potuto comodamente rimanere in questo contenitore, forti dei nostri ruoli e delle garanzie avute. Abbiamo deciso di rimetterci in gioco e fondare Fratelli d’Italia, un centrodestra ‘a testa alta’ che potesse riaccendere l’energia, la vitalità e l’orgoglio nella nostra gente, prima ancora che in noi stessi.
Berlusconi, insieme alle gentilezze, ha detto anche che rappresento un modo vecchio di concepire la politica. Se per vecchio si intende sognare un Parlamento fatto di persone oneste e capaci, preparate e con il consenso degli italiani, e non di veline e personaggi da rotocalco senza alcun radicamento territoriale; se per vecchio si intende che tutte le scelte debbano essere rimesse nelle mani degli italiani e a decidere non siano cinque persone chiuse in una stanza; se per vecchio si intende che il partito sia uno strumento e non un fine, fondato sulla partecipazione e non su decisioni calate dall’alto o comunicate a mezzo stampa, e dove l’immunità non sia scambiata per impunità, allora probabilmente ha ragione: non sono vecchia, sono decrepita, ma ne sono fiera.
E comunque è curioso che io pensi di lui qualcosa di esattamente contrario e speculare, penso sia Berlusconi, nonostante la sua veneranda età, ad avere un modo ancora fanciullesco e adolescenziale di concepire la politica; di immaginarla come un gioco narcisistico, un virtuosismo per mettere alla prova le proprie abilità e le proprie cellule.
Ritengo si sia giovani quando si è capaci di rimettersi in gioco, da zero, accollandosi il rischio di nuove sfide per raggiungere nuovi obiettivi, quando di fronte a episodi e comportamenti che fanno indignare se non vergognare, invece di brontolare dietro le spalle si prende il coraggio in braccio e si produce qualcosa di diverso, senza tradire, restando in coalizione per non far vincere la sinistra.
Ma si è giovani soprattutto quando si anticipa il tempo che scorre. Il miglior modo per contrastarlo non è negarlo, ma donare a un’idea più grande quel che si è imparato. Vecchio è chi conserva, vecchio è chi non trasforma, vecchio è chi s’abbarbica al molo quando il mare entra violento nel porto. Quel che ti sembra amico, il basso fondale, la banchina, diventano nemici mortali e quel che appare incerto e desta timore, il mare aperto, è l’unico rifugio sicuro.