di Guido Crosetto
12 luglio 2013
È partita per l’ennesima volta la discussione sul modello costituzionale cui ispirarsi per “l’epocale” rivoluzione delle stantie Istituzioni italiane. È tornato su tutte le bocche il termine presidenzialismo. Alla francese, all’americana, semi, pseudo. È una parola evocativa, perchè ci fa venire in mente grandi uomini: Kennedy, Chirac, Mitterand, Reagan. In realtà anche altri modelli costituzionali hanno partorito statisti altrettanto grandi, ma sono meno evocativi: De Gasperi, Kholl, Thatcher, Aznar, Blair hanno rivoluzionato i loro Paesi senza bisogno di una Costituzione “tailor-made”. Eppure quando si è alla disperata ricerca di un “Salvatore” si pensa ad un sistema che ci consenta di individuarlo con l’elezione diretta. È giusto, è sbagliato? È così. Io sono personalmente convinto che il periodo storico ed economico, europeo e mondiale, nel quale ci è concesso di vivere, necessiti di decisioni rapide, di linee chiare, di tempestività, di possibilità di adeguare ogni giorno la rotta mettendo in conto anche repentini cambiamenti. Sono convinto che la persona cui pro-tempore si affida il Paese debba avere la possibilità di scegliere i membri del Suo governo, poterli cambiare, poter individuare e sostituire i vertici burocratici, poter scegliere tutte le persone che possono accompagnarlo nella gestione dello Stato. Un Presidente eletto dal popolo che possa in ogni momento tornare a casa, ma ritornando a chiedere al popolo il parere attraverso un nuovo voto.
Ciò che non sopporto è, invece, il fatto di trovarmi, senza capirne bene le motivazioni e le giustificazioni costituzionali, in un modello che si potrebbe definire di “monarchia presidenziale”. C’è un governo di larghe intese, che unisce l’acqua e l’olio, perché ne ha “consentito” la nascita Napolitano. C’è Letta ( Enrico, n.d.r.) Presidente del Consiglio, perché l’ha “scelto” Napolitano. Ci sono ministri tecnici nei ruoli più importanti perché li ha “approvati” Napolitano. Si cambia la legge elettorale, speriamo sia la volta buona, perché,giustamente, Napolitano “invita” un Parlamento sordo ad ascoltare il Paese. Non si può tornare alle urne perché non vuole Napolitano. Il Presidente della Repubblica convoca, invita, suggerisce la linea, persuade, sceglie. Qualcuno potrebbe definirla moral suasion. È un termine che fa fine e non impegna. Ma sarebbe un po’ come dire che il Senato romano aveva autonomamente deciso di incoronare Cesare Augusto. Sia chiaro, il paragone vale solo per evidenziare l’assurdità dei termini e non per i metodi o le caratteristiche delle persone. Napolitano è una persona straordinaria, saggia, colta, intelligente, seria, preparata ed onesta. È sicuramente il presidente migliore che ci si potesse augurare di trovare in un momento così drammatico. Ma non è il Re. Non è nemmeno un Presidente eletto dal popolo come Obama. Né un Presidente cui la nostra Costituzione affida tutto il potere che gli viene concesso di utilizzare da forze politiche sempre più in difficoltà. Lo so, lo so, non ci sono atti formali, documenti scritti che evidenzino o provino ciò che sto scrivendo. Lui in teoria e formalmente non ha fatto nulla. Tranne un piccolo passaggio davanti alle Camere riunite nelle quali ha “sconsigliato” un ritorno al voto. Cosa che, tra l’altro, aveva fatto in altri modi per far nascere il Grande Governo Monti. Ma Lui è il garante della Costituzione e quindi se per Lui va bene, è tutto costituzionale. Se Lui condivide la stolta politica economica scelta dall’Europa, sarebbe meglio dire pretesa dai tedeschi ma è vietato, l’Italia la segue. Se lui condivide la scelta di seguire i francesi nella guerra di Libia, la si fa. Se Lui vuole tenere insieme nello stesso governo tutto ed il suo contrario si deve fare. Lui decide chi sono i saggi, chi non lo è, chi è degno di stare al governo ed ha i requisiti e chi deve stare fuori.
Ma alzare timidamente, sommessamente e sobriamente la mano, chiedere la parola e provare a dire che non ci pare giusto, è lesa maestà? Si è così e ci sono schiere di direttori di giornali pronti a far impallinare chiunque si azzardi a farlo. Io però non la penso così. Penso sia una manifestazione di libertà, penso sia un diritto costituzionale, penso sia il sale della democrazia.
Caro Presidente, Lei sa quanta stima e quanto rispetto provo per Lei, e voglio ribadirle che La ritengo uno dei pilastri fondamentali per tenere in piedi questo paese malconcio e disilluso. Ciò detto, Presidente, non condivido le Sue scelte, la Sua interpretazione estensiva del suo ruolo ed ho il terrore di ciò che un governo senza identità, senza anima e con l’obbligo di navigare a vista su un mare di uova, attento a non spaccarne nemmeno una, potrà significare per l’Italia nei prossimi mesi. La situazione economica è peggio di quanto fotografino le statistiche, perché i dati snocciolati da Istat, Banca d’Italia o dai vari centri studi, sono una foto sbiadita di ciò che era vero tre mesi o sei mesi fa, ma ogni giorno la situazione peggiora. La chiusura della procedura di infrazione ha messo il coperchio alla bara nella quale Monti ci ha infilato, rendendo impossibile qualunque ulteriore intervento pubblico. I tempi difficili sono sventurati perché hanno bisogno di eroi, dice Brecht. Perché nei momenti di difficoltà servono grandi personalità che abbiano una visione, un progetto, una prospettiva. Persone in grado di interpretare il presente e disegnare il futuro. Persone che abbiano la forza di vincere le resistenze, di ribellarsi alla corrente, di guidare. Ma queste persone hanno la necessità di sentire la forza dei propri popoli, la legittimazione democratica del proprio paese, non il favore delle élite. Per quanto possano essere illuminate. Proprio per questo penso sia giunto il momento di passare dalla monarchia presidenziale di fatto degli ultimi anni ad un più banale, ma più democratico e costituzionale presidenzialismo. L’aggettivo, francese, americano, russo, lo scelga chi ne ha la competenza costituzionale, il Parlamento.