PROPOSTA DI LEGGE
D’iniziativa dei deputati MELONI e altri
Introduzione del reato di bullismo nel codice penale
Onorevoli Colleghi!
I recenti fatti di cronaca, in cui otto ragazzi di una baby gang hanno ripetutamente aggredito fisicamente e verbalmente un pensionato di Manduria, in provincia di Taranto, hanno riacceso i riflettori sulla drammatica questione degli atti di bullismo, volti cioè a porre un soggetto in condizione di sudditanza rispetto ad altri mediante atti di minaccia o di aggressione veri e propri.
Come noto, la tragica vicenda di Manduria si è chiusa con la morte della vittima, ma esistono ancora centinaia di vittime in tutta Italia che sopportano, spesso, per vergogna, in silenzio, prevaricazioni di ogni genere.
Il fenomeno del bullismo viene da lontano, non solo da una volontà di sopraffazione insita in alcuni soggetti ma anche e soprattutto dal fallimento di una comunità della quale fanno parte le figure educative, a partire dai genitori, e di uno schema valoriale condiviso.
Nel caso di Manduria, ad esempio, i giudici hanno escluso la concessione degli arresti domiciliari per tutti i ragazzi coinvolti, proprio perché hanno ritenuto necessario allontanare i ragazzi dalle famiglie, anche in virtù del fatto che molte di loro erano al corrente delle violenze perpetrate ai danni della vittima, non facendo nulla per fermarlo ma anzi aiutandoli a eludere le indagini, e, con ciò «i nuclei familiari degli indagati hanno dato prova di incapacità a controllare ed educare i giovani».
Per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino o di un adolescente, o da parte di un gruppo, nei confronti di un altro bambino o adolescente percepito come più debole a causa di motivi di diversa natura.
Secondo l’Istat «La definizione del fenomeno si basa su tre condizioni: intenzionalità, persistenza nel tempo, asimmetria nella relazione. Esso è pertanto contraddistinto da un’interazione tra coetanei caratterizzata da un comportamento aggressivo, da uno squilibrio di forza/potere nella relazione e da una durata temporale delle azioni “vessatorie”».
Purtroppo il tempo ha dimostrato come la scuola non sia l’unico luogo nel quale si verificano atti o situazioni di bullismo ma che questi si verificano anche all’interno di tutti gli altri luoghi di aggregazione sociale frequentati da bambini e adolescenti, come anche ha dimostrato che non sempre le vittime sono bambini o adolescenti.
Come hanno scritto i magistrati rispetto al caso di Manduria, il trattamento riservato alla vittima è stato «inumano e degradante per la dignità della persona», comprensivo di «percosse, aggressioni con mazze e bastoni, lesioni, sputi, derisione, offese, bestemmie, incursioni, danneggiamenti, razzie», mentre la baby gang «era consapevole della debolezza della vittima riconducibile alla sua solitudine, allo stato di disagio sociale e ai suoi problemi psichici noti a tutto il paese”.
A parte l’età della vittima appare in maniera evidente come quelli inflitti al Signor Stano oltre ad episodi di aperta violenza, concretizzatisi nelle accuse per tortura, sequestro di persona, danneggiamento, e violazione di domicilio, siano atti di bullismo.
In ogni caso, infatti, al di là delle singole forme di prepotenza, il bullismo assume sempre le caratteristiche dell’intenzionalità, della durata nel tempo, della disuguaglianza tra bullo e vittima, dell’isolamento della vittima e del danno per l’autostima che la stessa subisce.
La dimensione sociale del fenomeno è ben documentata dal Report dell’Istat su «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» dal quale risulta che poco più del cinquanta per cento degli 11-17enni ha subìto qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento da parte di altri ragazzi o ragazze, mentre quasi il venti per cento è vittima assidua di una delle “tipiche” azioni di bullismo, cioè le subisce più volte al mese, e per quasi il dieci per cento delle vittime gli atti di prepotenza si ripetono con cadenza settimanale;
Le prepotenze più comuni consistono in offese verbali, derisione per l’aspetto fisico e/o il modo di parlare, diffamazione, esclusione per le proprie opinioni, aggressioni fisiche, ma sono sempre più frequenti i casi di ragazzi e ragazze vessati per anni nell’indifferenza generale e che a un certo punto, sopraffatti dal dolore e dalla vergogna decidono di sfuggire ai loro persecutori attraverso la scelta estrema del suicidio.
Numerosi studi si sono occupati della relazione intercorrente tra il bullismo e il suicidio, mettendo in evidenza come i disagi psicologici sociali e fisici agiscano tanto nella contingenza degli avvenimenti quanto a distanza di medio e lungo tempo, e rilevando come sia «possibile affermare che proprio l’escalation di episodi di vittimizzazione subiti possa mandare in “corto circuito” il soggetto che li subisce che vedrà quindi nel suicidio l’unica via di uscita e di interruzione dei soprusi».
Ciononostante ancora oggi il cupo fenomeno del bullismo è incomprensibilmente sottovaluto, anche quando esso è una manifestazione di un vero e proprio malessere sociale sia per coloro che commettono il danno che per coloro che lo subiscono, i primi in quanto a rischio di problematiche antisociali e devianti, i secondi in quanto rischiano una eccessiva insicurezza caratteriale che può sfociare in sintomatologie anche di tipo depressivo.
La legge 29 maggio 2017, n. 71, ha affrontato il delicato tema del cyberbullismo, introducendo nuove disposizioni a tutela dei minori che ne sono vittime; l’obiettivo della legge è di contrastare il fenomeno con azioni preventive e perseguire i responsabili in modo da tutelare le vittime. Inoltre, la legge consente di fare richiesta per la cancellazione dei contenuti di bullismo e dati diffamatori diffusi online che violano la privacy.
Per il bullismo, invece, non è stato finora configurato un reato specifico, una lacuna che la presente proposta di legge intende colmare, prevedendo l’inserimento nel Codice penale del nuovo articolo 612-ter, che prevede la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni per chi «con condotte reiterate, mediante violenza, minaccia, atti ingiuriosi o diffamatori o comunque mediante ogni altro atto idoneo ad intimidire taluno, pone una persona in stato di grave soggezione psicologica tale da escluderlo dal contesto sociale».