di Gloria Sabatini (secolo d’Italia) Per nulla sorpreso dall’uscita da Fratelli d’Italia di Massimo Corsaro, Carlo Fidanza, già europarlamentare di FdI, milanese doc, di ritorno da Bruxelles…
…ci racconta di un malessere che covava da tempo e che non avrà ripercussioni sulla linea programmatica del partito. «Una premessa: sono umanamente dispiaciuto perché ho condiviso con Massimo tutti i miei anni di militanza politica nella destra milanese, sia pure spesso con sensibilità differenti. Ma ho la serenità di chi, in questi mesi di suo crescente dissenso, ha sempre provato pubblicamente a confutare le sue critiche. Quindi non ho motivo di non farlo oggi». Qualche dubbio sulla tempistica scelta dal parlamentare lombardo, «decisamente poco felice alla vigilia della manifestazione di Venezia e con i sondaggi a favore…».
L’uscita di Corsaro non è stata un fulmine a ciel sereno…
Assolutamente no. La sua uscita, sottolineo, non cambia nulla rispetto alla linea politica condivisa dalla stragrande maggioranza dei quadri territoriali e della classe dirigente. Vorrei ricordare che Corsaro non partecipava da almeno un anno ai vertici del partito e non ha preso parte neppure al congresso fondativo di Fiuggi. Come dire che ha rinunciato a determinare la linea e poi anche a contestarla dall’interno, cosa a cui chi viene da destra di solito è abituato.
L’accusa principale è di essere a rimorchio della Lega
Un’accusa paradossale. Abbiamo un’eredità di vent’anni di alleanza con la Lega, lo eravamo al tempo di Bossi, delle ampolle e delle secessioni. È davvero strano che si nutrano dubbi oggi che la Lega ha tutta un’altra fisionomia. Vorrei ricordare che all’epoca dell’assemblea programmatica di Verona nel 1998 l’allora coordinatore regionale di An per fare concorrenza alla Lega avanzò l’idea di uno Statuto speciale della Lombardia. Fratelli d’Italia, invece, non ha mai abdicato alla vocazione nazionale, lo dimostra, per fare solo un esempio, la presentazione a Roma di una proposta di legge per il riordino dell’architettura dello Stato e l’abolizione delle Regioni, storica battaglia della destra.
Vi convince la conversione tricolore del Carroccio?
Non sappiamo se sia autentica, saranno i fatti a dimostrarlo e noi staremo a vigilare. Ma non è questo il punto. Per ora devo dire, al contrario di quanto pensa Corsaro, che è Matteo Salvini a dire cose di destra, noi siamo sempre dalla stessa parte. Sull’immigrazione il feeling con la Lega è un fatto storico, non a caso abbiamo scritto insieme la Bossi-Fini. L’unica differenza con il passato è la mancanza della mediazione diBerlusconi: oggi a dirigere il “traffico” tra l’alleato autonomista e l’alleato nazionalista c’è un dialogo diretto perché il Cavaliere è venuto meno al ruolo di opposizione al governo. Manca la terza gamba, ma è una scelta di Berlusconi non nostra.
Nessuna perdita di identità, nessun tradimento della storia della destra. Ne è sicuro?
Ci sono alcune tematiche che ci vedono distanti dalla Lega, non è un segreto. Anche la critica all’Europa della grande finanza a trazione tedesca che ci accomuna non è identica. Noi accentuiamo il ruolo dello Stato nazionale, la Lega quello del regionalismo, un modello che per noi ha fallito. Fratelli d’Italia pensa a un’Europa delle nazioni, e in questo siamo più in sintonia con Marine Le Pen che immagina una Europa degli Stati sovrani. Il Carroccio pensa a un’Europa delle regioni.
Corsaro è convinto che la Lega, e dunque anche FdI, resterà sempre una forza residuale incapace di essere forza di governo…
È un’altra accusa che mi lascia di stucco. È chiaro che in questo momento rappresentiamo una destra di opposizione, ma conserviamo l’ambizione di un fronte allargato, non a discapito dei contenuti, che possa diventare forza di governo. A differenza di Salvini, che oggi è tutto proiettato a massimizzare il consenso del partito in vista di qualche numero percentuale in più. Di fronte a una società sconquassata, inoltre, rispetto a qualche anno fa non è assolutamente scontato lo schema che vedeva le ali estreme al di fuori dei sistemi di governo. Pensiamo al Front National che da ex partito di destra radicale è pronto a candidare il suo leader alle prossime presidenziali francesi.
E veniamo al Jobs Act, il primo segnale di disobbedienza di Corsaro…
Anche su questo settore non esiste più la vecchia dicotomia tra sociali e liberali di cui discutevamo quindici anni fa, oggi abbassare le tasse sull’impresa è un provvedimento sociale e liberale insieme. Oggi la crisi ha superato di fatto i vecchi schemi ideologi. Oggi i nuovi poveri sono i cittadini con la partita Iva. Massimo ha votato con entusiasmo il Jobs Act, che rappresentava una delega in bianco al governo, come è puntualmente stato confermato con l’approvazione dei decreti attuativi. Non siamo noi a parlare il linguaggio di Landini, è stato lui semmai che ha votato con la sinistra dando campo libero a Renzi…
Ci saranno ricadute interne al partito?
Non credo affatto. Siamo in una fase di crescita nei sondaggi e la nascita di un fronte alternativo a Renzi sta pagando. Siamo impegnati in una mobilitazione massiccia per la manifestazione del 7 marzo a Venezia e i militanti, anche in Lombardia, stanno dimostrando che le dinamiche di palazzo non sono la carne viva del partito.