di Barbara Jerkov
«Sì a fiscalità di vantaggio al Sud , ma che siano permanenti». Così Giorgia Meloni, leader di Fdl, in un’intervista a Il Messaggero. «No a misure che durano pochi mesi , servono infrastrutture materiali e digitali». E ancora: «Far ripartire il Meridione enorme volano per il Settentrione, come fu la ex Ddr per la Germania». La Svimez: nel Mezzogiorno il virus ha cancellato il 6% dei posti di lavoro, al Settentrione il 3,5%.
Che sta succedendo, presidente Meloni? Amministratori e imprese del Nord si sentono discriminati e accusano il governo di aiutare solo il Sud con il decreto agosto. Lei come la vede? «Il problema mi pare mal posto. Le imprese del nord hanno pagato un prezzo altissimo al Covid e quelle del Mezzogiorno lo hanno pagato ad un lockdown generalizzato che, numeri alla mano, si sarebbe potuto evitare. Gli 80 miliardi dei decreti “Cura Italia” e “Rilancio” sono stati dilapidati in mille rivoli con una logica assistenziale e in buona parte non sono arrivati alle imprese, ne al nord ne al sud. Quindi la decontribuzione in questa fase dovrebbe essere fatta per tutti. Poi una fiscalità di vantaggio per il Sud è sicuramente necessaria ma deve essere resa permanente e non durare pochi mesi. E soprattutto deve essere accompagnata da ingenti investimenti in infrastrutture materiali e digitali : alta velocità, autostrade, porti e interporti. E banda larga fino nelle aree interne. Pensare che la scarsa attrattività del Sud per chi fa impresa si risolva con qualche mese di sgravi è un insulto all’intelligenza».
Anche l’Europa ha raccomandato di concentrare le risorse del Recovery fund sul Mezzogiorno, nella convinzione che se non riparte il Sud non riparte neanche il resto del Paese . Condivide? «Questa è una verità sotto gli occhi di tutti da molto tempo. Il divario Nord-Sud ha assunto dimensioni inaccettabili non solo dal punto di vista sociale e dell’unità Nazionale ma soprattutto dal punto di vista di equilibrio economico-nazionale. Avere ampie zone del territorio sempre più povere, deindustrializzate e con scarse possibilità occupazionali diventa un enorme problema anche per l’economia del nord che si ritrova un’ampia fetta del proprio mercato naturale sempre più fragile. Per questo Fdl, da sempre, sostiene un imponente piano di ammodernamento infrastrutturale del Sud e politiche serie occupazionali al posto delle inutili politiche assistenziali care alla sinistra e al M5S».
Certo, un po’ paradossale che dopo un secolo di questione meridionale non risolta si apra una contro-questione settentrionale… «Nel bilancio di lungo termine della Ue 2021-2027 l’Italia è per la prima volta inserita tra gli Stati membri che hanno un reddito pro capite inferiore a quello della media Ue. Siamo passati dall’essere una nazione ricca europea a uno Stato più povero della media Ue. Questo è un dato clamoroso che credo sia stato non sufficientemente attenzionato. Ma il fatto ancora più sconcertante è che questo dato scaturisce dal forte impoverimento del Sud Italia che trascina con sé tutta la media nazionale. Far ripartire il Sud rappresenterebbe un enorme volano anche per le attività produttive del Nord Italia. Storicamente è un fenomeno che abbiamo già visto in Europa negli anni della riunificazione tedesca. Gli ingenti investimenti fatti dalla Germania per far recuperare le regioni della ex Ddr hanno rappresentato per gli anni successivi un enorme stimolo economico per tutta la Germania».
Non c’è il rischio di perdere di vista l’interesse nazionale per fomentare una sorta di guerra di territori anche in vista delle regionali? «Reputo sbagliato parlare di questione meridionale o questione settentrionale, bisogna parlare di una questione nazionale e di una visione complessiva che permetta a l’Italia intera di riprendere la sua fase di crescita e prosperità. Sicuramente finora la situazione è stata mal gestita altrimenti non ci saremmo trovati a questo punto».
La pubblicazione delle carte del Cts ha rivelato che non ci sarebbe stato bisogno di chiudere tutta l’Italia, con le conseguenze economiche e sociali che ben sappiamo, se Regione Lombardia e governo avessero provveduto per tempo a sigillare le zone rosse del Nord. Ora il centrodestra accusa Conte di aver ignorato le indicazioni degli scienziati, ma anche Fratelli d’Italia all’epoca chiese di chiudere tutto. Come lo spiega? «I tecnici fanno i tecnici, ma spetta alla politica decidere. La cosa surreale è che il governo si è coperto dietro ai pareri del Comitato per giustificare tutta una serie di scelte discutibili ma nel caso della zona rossa nella Bergamasca e poi del lockdown nazionale ha scelto scientemente di fare il contrario. Perché? Come si spiega che dopo il verbale del 3 marzo in cui il Cts invitava a chiudere Alzano e Nembro siano trascorsi cinque lunghissimi giorni prima che il governo istituisse l’intera Lombardia come zona arancione (che peraltro non è rossa, perché dentro a ciascuna provincia ci si poteva ancora muovere)? Come si spiega il fatto che, a fronte di un parere contrario del Comitato, il 9 marzo Conte decide di chiudere tutta l’Italia senza distinzioni? Conte ha il dovere di assumersi le sue responsabilità, almeno su questo».
Insisto, anche Fdl all’epoca chiese di chiudere tutto. O no? «Sulla posizione di Fdl viene raccontata una realtà distorta. È sufficiente andare a rivedere la cronistoria delle mie dichiarazioni per rendersi conto che Fdl chiedeva la chiusura totale quando ancora non conoscevamo il nemico contro il quale stavamo combattendo, cosa che invece il governo decise di non fare, e che avrebbe con ogni probabilità contenuto enormemente il diffondersi dell’epidemia. Successivamente, quando avevamo invece dei dati statistici a disposizione e conoscevamo meglio il Covid, Fdi, anche sulla base dei dati elaborati dal nostro studi, ha suggerito di procedere con lockdown differenziati a seconda delle regioni e delle province quando invece in quella fase il governo aveva optato per la chiusura generalizzata. In pratica, pur non avendo a disposizione i verbali quotidiani del Comitato, avevamo ragione noi e rivendico che, con il senno di poi, sarebbe stato meglio per tutti se il governo ci avesse ascoltato».
A settembre il centrodestra ha già detto che aspetta Conte in Parlamento perché riferisca. Pensa ci siano ancora aspetti che palazzo Chigi deve chiarire sulle scelte prese in quei mesi? «Di fronte a una catastrofe epocale, che ha causato più di 35mila morti e danni all’economia per centinaia di miliardi, è giusto fare la massima chiarezza. Nessuno vuole mettere sul banco degli imputati in modo pretestuoso Conte e il governo ma credo che sia utile per tutti e per il nostro sistema democratico che si sappia bene perché di determinate scelte. La questione non è se si siano o no commessi degli errori – perché questo può succedere a chiunque governi e a maggior ragione a chi debba fronteggiare una situazione totalmente nuova ma se si siano prese delle scelte per ragioni diverse dal perseguimento dell’interesse generale. Fin dall’inizio della pandemia abbiamo denunciato come il governo sembrasse vedere, nel Covid, non solo un nemico da debellare ma anche una opportunità per rafforzarsi. E la proroga dello stato di emergenza votata due settimane fa, senza che vi siano evidenze scientifiche che giustifichino questa scelta, lo dimostra ancora una volta. Per questo continueremo a batterci per avere tutta la verità, e per inchiodare il governo alle sue responsabilità».