«I mille euro sui conti correnti? Altro che irrealizzabile, lo fanno già gli altri Paesi»
L’intervista di Carlantonio Solimene
«Per Conte le nostre proposte sono pretestuose? Rimango francamente di stucco. Ma noi vogliamo evitare le polemiche e faremo del nostro meglio per continuare a fare quello che possiamo per gli italiani. Alla fine dell’emergenza si tireranno le somme e gli italiani giudicheranno». Non è stato un bel risveglio, per Giorgia Meloni, quello che ha seguito il vertice con Giuseppe Conte sulle misure per «rialzare» l’Italia. In tv, infatti, il premier ha definito «irrealistiche» le proposte di Fratelli d’Italia, a partire dai mille euro da versare direttamente sui conti correnti degli italiani.
Onorevole Meloni, se lo aspettava? «Ormai siamo abituati a un certo “dualismo” del governo. In privato ci chiedono di collaborare, in pubblico 5 stelle e Pd passano più tempo a parlare di noi che a risolvere problemi. In privato ci ringraziano per la serietà dei nostri contributi, in pubblico ci attaccano per fare propaganda. La loro disponibilità a collaborare è più di facciata che reale».
In che senso? «Penso a tutte le volte in cui Conte si videocollega con gli italiani e dice di aver sentito al telefono le opposizioni. In realtà si tratta di una chiamata fatta un minuto prima, giusto per comunicarci in sintesi quello che ha già deciso».
Le vostre proposte non sono «irrealistiche»? «Vogliamo guardarci indietro un attimo? Proponevamo la quarantena per chiunque tornava dalla Cina mentre la sinistra andava a fare gli aperitivi con la comunità asiatica. Dicevamo che bisognava spendere subito 30 miliardi quando il governo ne immaginava tre e mezzo. Proponevamo il lockdown due settimane prima che lo facessero. Tutte misure così “irrealistiche” da diventare poi necessarie».
E i mille euro sui conti correnti? «È più o meno quello che hanno fatto altri Paesi europei, a partire dalla Germania. Partiamo da un fatto: ad oggi il governo non è in grado di dirci quando i soldi della Cig arriveranno nelle tasche di chi ne ha diritto. Se tutto va bene, se ne parla a fine aprile. Ma la gente non può aspettare tanto. E allora perché non permettere a chi ne ha diritto, secondo criteri stabiliti, di ottenere subito i soldi sul conto corrente? I controlli si faranno dopo e se qualcuno avrà tentato di truffare lo Stato, sarà perseguito».
C’è altro? «Certo. Perché la Cig è utile, ma non basta. Altrimenti per gli imprenditori diventa più conveniente chiudere, mettere i lavoratori in cassa integrazione e poi, alla fine della crisi, decidere cosa fare. Altro che #Curaltalia, rischiamo di fare il decreto #ArrenditiItalia».
Voi cosa proponete? «Che alle aziende che, pur avendone la possibilità, non collocano i lavoratori in Cig, sia erogato l’80% della cifra che, in alternativa, sarebbe andata ai lavoratori. Questo significherebbe incoraggiare il mantenimento della produzione e dei livelli occupazionali. Sempre che ci sia disponibilità ad ascoltarci. Purtroppo, la Commissione Bilancio al Senato ha appena respinto i nostri emendamenti per la reintroduzione dei voucher in agricoltura. Se non vogliono ascoltare noi, diano retta almeno alle categorie. Serve manodopera: reintroduciamo i voucher e mandiamo a lavorare nei campi chi riceve il reddito di cittadinanza».
Capitolo Europa. La Commissione ha proposto lo strumento «Sure Bond» per sostenere la Cig e la von der Leyen ha chiesto scusa all’Italia. «Sulla proposta della Commissione, aspetto i dettagli. Ma quando leggo che l’adesione è volontaria e non parte finché tutti gli Stati non danno le garanzie, beh, mi puzza di gioco delle tre carte. In quanto alla presidente von der Leyen, le consiglio molte meno chiacchiere e molti più fatti. Bene che agli Stati sia concesso di utilizzare i fondi strutturali ancora non spesi, come Fratelli d’Italia aveva proposto 20 giorni fa. Ma sugli altri fronti siamo indietro. E le premesse non sono incoraggianti».
A cosa si riferisce? «Sono abituata a ragionare sui fatti. E i fatti dicono che la presidente della Bce Lagarde ha fatto una serie di dichiarazioni che hanno fatto passare il messaggio che non sarebbero stati disposti a difenderci dalla speculazione, facendo perdere a piazza Affari il 17% in qualche ora. Ebbene, non credo alla teoria della “gaffe”, sapeva cosa sarebbe accaduto. Poi, solo ieri, la Commerzbank, seconda più grande banca tedesca direttamente partecipata dal governo, ha invitato i suoi investitori a vendere i titoli di Stato italiani dicendo che il loro prossimo “downgrade” a spazzatura è inevitabile. Sullo sfondo, c’è il continuo invito che ci viene rivolto ad attingere al Fondo Salva Stati, con l’obiettivo di commissariarci e fare in modo che alla fine il debito italiano lo paghino i piccoli risparmiatori privati».
Lei resta contraria al ricorso al Mes, anche con condizioni più leggere delle attuali? «È così. Il mio punto di vista sul Mes è di riprenderà semplicemente i 15 miliardi che l’Italia ha versato e spenderli come preferiamo. Senza condizionalità. Mi permetta un’aggiunta sulla “solidarietà” europea». Prego. «Conte dovrebbe ricordare ai leader che l’Ue o la Bce non esistono senza l’Italia. Siamo noi la loro fortuna, non viceversa. C’è uno studio di un think tank tedesco che ha calcolato come negli ultimi vent’anni, a causa dell’euro, ogni italiano abbia perso 75mila euro e ogni tedesco ne abbia, al contrario, guadagnati 25 mila. Partendo da questo assunto, dobbiamo pretendere rispetto. Penso all’Olanda: oggi fa la guardiana dei conti di Bruxelles. Ma da anni, con la sua legislazione da paradiso fiscale, ci sottrae miliardi di euro di tasse. Cominciamo a pretendere che l’Europa sanzioni questi comportamenti, poi viene il resto».
Renzi ha avviato il dibattito sulla «riapertura» del Paese. Lei che idea si è fatta? «Renzi ha detto una banalità. Anch’io vorrei riaprire il Paese. Non domani, oggi. Il punto, però, è non fare propaganda su un tema così delicato che, ricordiamolo, è prima sanitario che politico. Stiamo pagando un prezzo troppo alto per permetterci di vanificare il nostro sforzo. Occorre aspettare che la comunità scientifica dia il suo via libera. Quello che possiamo fare adesso è programmare in anticipo le modalità delle riaperture, per non farci trovare impreparati».
Oggi siamo in emergenza. Poi verrà il momento di ricostruire. Come? «Sotto il segno della libertà. Vanno eliminati tutti i vincoli, gli adempimenti che strozzano le imprese, gli ISA, il tetto al contante, la fatturazione elettronica. I cittadini devono poter lavorare e lo Stato deve far capire che è al loro fianco. Non è possibile che, in un Paese che si è fermato, l’unica cosa che funziona ancora sia la burocrazia. E poi ci vuole un piano imponente di investimenti pubblici. E per finanziarlo mi piace la proposta di Giulio Tremonti: l’emissione di titoli pubblici defiscalizzati a bassissimo interesse e lunghissima scadenza. La implementerei: dedicherei quei titoli a un grande piano di infrastrutture strategiche e stabilirei che chi ha dato fiducia al Paese in un momento così difficile possa diventare proprietario delle stesse infrastrutture che ha finanziato».
Il governo attuale sarebbe in grado di assumersi l’onere della ricostruzione? «Ovviamente no. Mi spiego: mi fa sorridere chi oggi ipotizza di cambiare l’esecutivo. Si immagini cosa significherebbe, in questo contesto emergenziale, affrontare la trafila delle consultazioni, il totoministri, la fiducia in Parlamento. Anche archiviata l’emergenza, però, non credo al governissimo, magari guidato da un Mario Draghi. Perché per ricostruire il Paese ci vuole visione politica, e la mia visione non potrà mai associarsi a quella di Pd o 5 stelle. I governi “arlecchino” sono dannosi più che inutili, basta vedere il Conte “gialloverde” o il Conte “giallorosso”. L’unica soluzione, quindi, è andare al voto quando sarà finita l’emergenza e sarà tornata la normalità e avere un governo forte e legittimato che possa operare per cinque anni con un progetto di ampio respiro. Anche perché ricostruire il Paese con un Parlamento per un terzo grillino mi sembra difficile…».
Perché non ha condannato con decisione la svolta autoritaria di Orban in Ungheria? «In verità mi ha incuriosito tutto il frastuono fatto in Italia su quanto accade a Budapest. Che non è molto diverso dagli strumenti con cui Conte sta governando in questi giorni. Con una differenza: Orban è stato scelto dai cittadini, Conte no».
Il carcere fino a 5 anni per chi diffonde presunte fake news sembra preoccupante… «Infatti questo punto l’ho criticato. Ma, se ci pensa, è la stessa cosa che in Italia la sinistra auspica da tempo: mettere a tacere chiunque abbia idee diverse. Io su questo non sono d’accordo né con Orban, né con Zuckerberg, né con la Boldrini…».