L’intervista di Antonello Piroso
«Un catarifrangente con le gambe». Quando si arriva a questo passaggio, anche il detrattore più avvelenato nei confronti di Giorgia Meloni non può trattenere un sorriso. È il punto del suo libro Io sono Giorgia in cui racconta di come si fosse addobbata per il giuramento al Quirinale quando divenne ministro della Gioventù nel quarto governo di Silvio Berlusconi: «Avevo acquistato un costoso tailleur cangiante che poteva piacere solo a me e forse a Platinette».
Meloni può piacere o non piacere, ma leggendo il volume di una cosa le va dato atto: non scansa le accuse che sul piano politico (e non solo) le vengono rivolte, ma le affronta e le ritorce sui suoi avversari, argomentando contro quelle che lei giudica ipocrisie da sepolcri imbiancati: «Lo ripeterò fino allo sfinimento: non voglio l’abolizione della legge sull’aborto. Ma ne rivendico la piena applicazione, in particolare sulla prevenzione. Il ddl Zan sulla omotransfobia? Un cavallo di Troia per far passare l’autocertificazione di genere, l’hanno smontato perfino le femministe».
Non solo: prende di petto ogni aspetto della sua biografia, pubblica (“II possibile secondo posto di Fratelli d’Italia nei sondaggi è un risultato su cui non avrei scommesso un soldo nel 2018”) e privata (i critici che lei cita: “Parli tanto di famiglia fondata sul matrimonio, Meloni, ma intanto non sei sposata”), e li sviscera senza infingimenti. Rivendicando sempre di essere «donna, madre, italiana, cristiana». Una combattente. «Tosta» per dirla con Carlo Calenda. Che non si sottrae mai al confronto, anche quando a bruciapelo le domando della notizia degli indagati con l’accusa di minacce e offese al capo dello Stato, Sergio Mattarella, con tanto di perquisizioni, «soggetti gravitanti in ambienti di estrema destra e a vocazione sovranista»: «Non ho elementi per commentare. Ho letto che c’è stata una operazione dei Ros su disposizione della Procura di Roma su questa presunta rete sovranista. Al presidente va la mia solidarietà per gli insulti e le minacce ricevute, ma al momento non so altro. Però mi faccia aggiungere: mi auguro ci siano elementi molto consistenti per disporre perquisizioni in casa, in un contesto in cui spesso i politici – me compresa – ricevono quotidianamente contumelie e pesanti intimi dazioni dagli haters. Perché se questi elementi più che solidi non ci fossero, allora ci troveremmo davanti a una preoccupante anomalia». In chiusura del penultimo capitolo – l’ultimo è dedicato a sua figlia Ginevra – la sua determinazione la rivendica apertis verbis: «Non ho paura di niente e di nessuno, se non quella di deludere me stessa e chi crede in me. Non sono ricattabile. Non sono sola, e chi ha scelto di accompagnarmi in questa battaglia è molto simile a me. Sono sempre stata sottovalutata, e questa è una grande fortuna. Per questo non diserterò. Io sono un soldato».
Battuta inevitabile: dal Soldato Jane al Soldato Giorgia. «Be’, ci può stare se intende riferirsi al fatto che ho dovuto farmi spazio in un mondo prevalentemente maschile. Ma come spiego nel libro, in tutta la mia storia politica non mi sono mai sentita davvero discriminata in quando donna. Certo, mi sono sempre impegnata e non ho mai abbassato la guardia, ma alla fine non è stato così complicato. Come sosteneva con un sorriso Charlotte Whitton, sindaco di Ottawa negli anni Cinquanta: “Le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini per essere giudicate brave la metà. Per fortuna non è difficile”».
Un’autobiografia a 44 anni. Era proprio necessario? «Non è un’autobiografia né un manifesto. Piuttosto un “diario minimo”…».
Alt. Le rimprovereranno l’appropriazione indebita. Diario minimo è un titolo di Umberto Eco. Nel libro evoca il Pier Paolo Pasolini di Saiuto e augurio, da lei definito un testo «conservatore di straordinaria bellezza». Alla Camera, nel dichiarare il suo no al governo di Mario Draghi, ha citato Bertolt Brecht. Fino a La canzone di Marinella di Fabrizio De Andre, con cui tuttora addormenta sua figlia Ginevra di 4 anni. Vuole acquisire meriti a sinistra? «Guardi, la destra che piace alla sinistra è quella che non vince. Io rimango me stessa potendo benissimo apprezzare parole e concetti di autori anche ideologicamente distanti da me. Non ho pregiudizi, io».
La sottolineatura è riferita alla signora che non metterà in vendita Io sono Giorgia nella sua libreria? «Scherza? Io la ringrazio, piuttosto, per la pubblicità che mi ha fatto. E per il pessimo servizio reso alla libertà d’espressione vista da sinistra. Pensi se una cosa del genere l’avesse annunciata un libraio con simpatie di destra su un’opera di un politico del Pd. Sarebbe stato invocato l’intervento dei caschi blu e sarebbero partiti i girotondi. Mi conforta che Calenda e Enrico Letta abbiano espresso altre valutazioni, il primo sull’autenticità di quello che sostengo, il secondo affermando che il libro lo leggerà. L’ho scritto perché mi sono resa conto di quanto fossero distanti le mie idee, la mia vita dalla rappresentazione distorta che se ne fa. Volevo semplicemente esporre chi sono e in cosa credo, qui e ora, alla luce di quello che è stato ed è il mio vissuto. Chi intende sostenermi e votarmi è giusto che sappia con chi ha a che fare. Sentendolo da me».
Qual è l’immagine che le è stata cucita addosso, e come? «Gli anglosassoni la chiamano character assassination, in italiano suona pure meglio: la distruzione della reputazione. Chi è Giorgia Meloni, secondo la vulgata accreditata dal sinedrio dei sacerdoti del politicamente corretto? Una bigotta retrograda oscurantista omofoba. Una razzista. Una xenofoba, una che odia ogni diversità, che plaude o ha nostalgia per chi ha sterminato milioni di ebrei con le camere a gas, o ha piazzato bombe m banche e stazioni, schiavizzato i neri, sottomesso e stuprato le donne, perché nell’immaginario delle donne di sinistra, o delle femministe radicali, una donna di destra è oggettivamente succube, complice e vittima dei suoi carnefici maschilisti. Io stessa proverei un irrimediabile disprezzo per me, se questa descrizione fosse anche solo lontanamente vera».
II vittimismo non le si addice, soldato Giorgia. «Ma quale vittimismo! Conosco bene le asprezze della lotta politica, l’anno prossimo saranno 30 anni da quando, quindicenne, andai a bussare al portone blindato della sezione del Fronte della Gioventù della Garbatella. Ma io non sono spaventata da quello: è quando lo scontro si fa sleale, che allora mi batto con tutte le mie forze. Smontate le mie argomentazioni, se ne avete di valide da oppormi. Non inventatele. Cosa fa dire Oliver Stone a Gordon Gekko nel sequel di Walt Street? “Quando smetterete di dire balle su di me. io smetterò di dire la verità su di voi”».
Lei scrive: «Se sanno fare il loro lavoro, i giornalisti non sono amici tuoi». Il tutto perché, parlando schiettamente da ministro del governo Berlusconi IV con un collega, il giorno dopo si ritrovò lo sfogone a tutta pagina. «Erano uscite intercettazioni tra lui, dirigenti tv e giovani attrici in cerca di raccomandazioni. Dissi che tutto l’insieme mi faceva tristezza e che il comportamento del Cavaliere in quel frangente non mi era piaciuto. Ovviamente che titolo poteva fare il giornale? Questo Silvio non mi piace. All’alba mi chiamò Ignazio La Russa, capodelegazione di Alleanza Nazionale al governo: “Mi ha telefonato Berlusconi, è fuori dalla grazia di Dio. Ha detto: la ragazza mi ha già rotto le palle”».
Lei dovrebbe essere grata al Cavaliere: se nel 2012 non avesse cancellato le primarie per il segretario del Pdl, per cui lei si era candidata, non avrebbe mai visto la luce il partito di Fratelli d’Italia. Nome che tra l’altro non è un’idea sua. «Fu Fabio Rampelli a pensare all’Inno di Mameli. Io avevo proposto Noi italiani. Anche se la nostra prima scelta fu “Figli d’Italia”, che accantonammo rendendoci conto che quel “Figli di…” avrebbe incentivato un banale quanto scurrile doppio senso. La mannaia di Berlusconi sul dibattito interno sulle primarie ha fatto da detonatore. Ma il malessere accumulato anche per la scelta di sostenere il governo di Mario Monti era tale che prima o poi il divorzio ci sarebbe stato comunque. Io sono del Capricorno, concreta, rigorosa, abituata a valutare il pro e il contro, ma sono anche fatalista: mi lascio guidare dalla follia dell’istinto, affidandomi all’ultimo a Nostro Signore».
E al suo angelo custode, di nome Harael. Ma davvero dialoga con lui? «Si, ma non è argomento da barzelletta new age. La voce del nostro angelo custode non è altro che ciò che noi chiamiamo coscienza. Ha presente quando percepiamo una voce interna che ci avverte di qualcosa, noi tiriamo diritto e poi a cose fatte confessiamo: “Ci avevo pure pensato”? Ecco, quella voce è l’angelo custode. Mi sono così appassionata all’angelologia, che ho perso il conto di quante statuette ho che li raffigurano».
«Non so esattamente cosa sia la felicità. Io l’ho rincorsa tutta la vita e credo di non averla afferrata davvero mai. La felicità è soprattutto attesa di qualcosa che, pensi, ti renderà felice». Come Fdi primo partito alle elezioni? O come essere la primadonna presidente del Consiglio? «Lo scrivo a mia figlia Ginevra nell’ultima pagina: “Anche se possedessi tutte le cose del mondo, ti accorgeresti che non hai quasi nulla. Egoismo, cattiveria e arrivismo non ti porteranno mai da nessuna parte. È l’amore la benzina del mondo. E la felicità, ricorda, esiste solo se la puoi condividere. Continua a ridere, per tutto il resto troveremo un rimedio”».