L’intervento integrale del presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che ha inaugurato i lavori della “National Conservatism Conference” in programma a Roma il 3 e il 4 febbraio 2020 e che ha come titolo “Dio, onore, Nazione: il presidente Ronald Reagan, Papa Giovanni Paolo II, e la libertà delle Nazioni”.
Grazie a Yoram Hazony e agli amici della Edmund Burke Foundation per avermi invitato a inaugurare questo importante evento e grazie per aver scelto Roma e l’Italia come sede della seconda edizione della National Conservatism Conference.
Condivido in pieno le valutazioni di Yoram sulla necessità di riportare il conservatorismo al suo ambito tradizionale, quello delle appartenenze nazionali. La grande sfida della nostra epoca è la difesa delle identità nazionali e dell’esistenza stessa degli Stati come unico strumento di tutela della sovranità e della libertà dei popoli. Per questo ho trovato molto efficace il titolo dell’ultimo libro di Yoram: “Le virtù del nazionalismo”: poche parole per far capire che la nostra visione del mondo è esattamente l’opposto di quella che vorrebbero imporci. Caro Yoram, il tuo libro creerà grande scandalo in Italia, e contribuirò volentieri anche io a questo, perché intendo citarlo spesso.
Il nostro principale nemico è oggi la deriva mondialista di chi reputa l’identità, in ogni sua forma, un male da combattere e agisce costantemente per spostare il potere reale dal popolo a entità sovrannazionali guidate da presunte élite illuminate. Ricordiamocelo, perché non abbiamo combattuto e sconfitto il comunismo per sostituirlo con un nuovo regime internazionalista, ma per consentire a nazioni indipendenti di tornare a difendere la libertà, l’identità e la sovranità dei loro popoli.
Con questo stesso spirito oggi Fratelli d’Italia si batte per una Europa di nazioni libere e sovrane come seria alternativa al superstato burocratico che si è andato imponendo da Maastricht in poi con la logica del “vincolo esterno”, quella per cui c’è sempre qualcuno che si arroga il diritto di decidere al posto dei popoli sovrani e dei governi nazionali. E questo qualcuno a Bruxelles o a Francoforte, a Davos o nella City londinese, pur non avendo alcuna legittimazione democratica, condiziona ogni giorno le scelte economiche e quindi le scelte politiche di chi invece quella legittimazione l’ha ottenuta dal voto popolare.
Quando le scelte dei governi nazionali si rivelano incompatibili con il vincolo esterno si attiva subito il processo di normalizzazione: o il Governo si piega ai diktat sovrannazionali oppure sarà rimosso e sostituito, usando come armi i vincoli economici europei da rispettare, le azioni mirate sui mercati finanziari, l’influenza sui media.
Purtroppo il caso italiano è esemplificativo non soltanto quindi per l’emergere del National Conservatism, ma perché questo cresce e si rafforza proprio in antitesi a poteri sovranazionali e anti-nazionali che hanno tentato (spesso con successo) di privare la nostra nazione della propria sovranità e i nostri concittadini del diritto di scegliere.
Così oggi, con buona pace dei falsi democratici, i conservatori nazionali a tutte le latitudini sono in realtà gli unici veri democratici poiché solo difendendo lo Stato nazionale si difende la sovranità politica in capo ai cittadini di quello stato.
Ma naturalmente un conservatore nazionale non si può accontentare di rivendicare democrazia. Perché una democrazia senza valori diventa demagogia e può ugualmente accelerare la decadenza. Credo che non sia difficile per il mondo conservatore individuare i contenuti con i quali vogliamo riempire le nostre democrazie. A noi non servono i manuali di indottrinamento ideologico cari alla sinistra. La nostra visione valoriale e di visione del mondo è in realtà una cosa molto semplice come ci raccontava un grande filosofo morto pochi giorni fa, Roger Scruton: “La vera ragione per cui le persone sono conservatrici è che sono attaccate alle cose che amano” E quello che io considero un altro grande padre del pensiero conservatore, John Ronald Reuel Tolkien, lo spiegava in modo altrettanto chiaro, per bocca di uno dei personaggi del suo Signore degli Anelli: “non amo la lucente spada per la sua lama tagliente, né il guerriero per la gloria, né la freccia per la sua rapidità: amo solo ciò che difendo”.
Questa visione del mondo viene incarnata ogni giorno da milioni di uomini e donne comuni, e a volte anche da alcuni grandi uomini della storia. Due di questi sono proprio Giovanni Paolo II e Ronald Reagan a cui è dedicato l’incontro di oggi.
Giovanni Paolo II, il “Papa patriota”; sapeva perfettamente che le nazioni, l’appartenenza ad un popolo, ad una memoria storica condivisa, erano il fondamento della libertà di ogni uomo. “Nel concetto stesso di patria è contenuto un profondo legame tra aspetto spirituale e materiale”, scrisse nel suo libro Memoria e Identità. Al pari della famiglia la riteneva una “società naturale” perché legata indissolubilmente alla natura umana.
Non smise mai di dire che “non c’è Europa senza cristianesimo”, insegnamento quanto mai di attualità oggi che l’identità cristiana dell’Europa è sotto attacco da un distorto laicismo che si scaglia perfino contro i simboli della tradizione cristiana ma che spalanca al contempo le porte all’islam più intransigente che auspica apertamente di applicare la Sharia anche a casa nostra e che è alla base del terrorismo islamico che ha insanguinato l’Europa e gli Stati Uniti.
Giovanni Paolo II. Cristiano e patriota, due colpe imperdonabili sotto l’oppressione comunista, ma due scandali anche nella Unione Europea di oggi che sembra voler conseguire con altri mezzi lo stesso disegno sovietico dell’annullamento delle identità nazionali e religiose.
Il patriottismo di Giovanni Paolo II gli permise di leggere anche i fenomeni storici che oggi attraversano il nostro tempo alla luce di un realismo cristiano libero da ogni retorica, come nel caso dell’immigrazione. E’ suo il concetto che il Diritto a immigrare doveva essere preceduto innanzitutto da un Diritto a non emigrare “a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria”. Cristiano, patriota, e pure critico nei confronti dell’immigrazione di massa. A pensarci bene Giovanni Paolo II oggi sarebbe nella lista nera della UE come un pericoloso eversivo.
Non sarebbe andata meglio a Ronald Reagan, però, che ha rappresentato più di ogni altro Presidente degli Stati Uniti, l’America del “We the People”; di quel preambolo della Costituzione che fonda la democrazia nazionale dentro il principio della sovranità popolare, altro grande nemico delle élite mondialiste.
Sono rimasta molto colpita dalla metafora che Reagan usava per descrivere il movimento conservatore: quella di uno “sgabello a tre gambe”. Senza ciascuna delle gambe lo sgabello cade, e le tre gambe sono “Defense, Fiscal, Social”: l’anima patriottica (oggi si direbbe sovranista) centrata sulla difesa degli interessi nazionali e della sovranità popolare; la libertà economica e il corretto rapporto tra Stato e contribuente; l’anima sociale a protezione dei valori religiosi e morali, fine più nobile di ogni azione politica. Valori e principi che si ritrovano nel trio Dio, libertà, Nazione dell’incontro di oggi, o nell’italico Dio, Patria, Famiglia a cui sono molto legata. Una sorprendente comunione di vedute su molti temi tra realtà politiche che spesso provengono da storie diverse. Penso in particolare alla questione economica.
È rimasta alla storia la frase di Reagan: “Amici miei, la storia è chiara: abbassare le tasse significa una maggiore libertà, e ogni volta che abbassiamo le tasse, la salute della nostra nazione migliora”. Un grande insegnamento del pensiero conservatore è che un sistema fiscale oppressivo non limita solo la libertà dell’impresa, la produzione, i consumi, ma distrugge il patto tra Stato e cittadini. Perché troppe tasse soffocano e costringono lo Stato a costruire un sistema di controllo e coercizione simile a quello dei regimi totalitari. Con le conseguenze che ne derivano in termini di riduzione delle libertà individuali e di peggioramento dell’economia nel suo complesso.
Quindi libertà d’impresa, riduzione delle tasse e della burocrazia, investimenti pubblici in infrastrutture, difesa degli interessi nazionali: è la ricetta con la quale anche il Presidente Trump oggi sta facendo volare l’economia americana. Ed è la ricetta che vogliamo portare in Italia e in Europa come alternativa alla cieca austerità voluta dalla Germania e che finora ha giovato solo alla Germania e ai grandi speculatori finanziari.
Tra i valori fondanti dei movimenti conservatori c’è ovviamente la difesa della famiglia naturale.
Vorrebbero che rinunciassimo a difendere la famiglia, reputata un concetto arcaico e retrogrado da superare. Vorrebbero convincerci che la famiglia sia qualsiasi legame affettivo tra esseri senzienti, che è segno di grandissimo progresso civile e morale pagare una donna povera per tenere un bambino in grembo per nove mesi e poi strapparglielo dalle braccia per costringerlo a chi quel bambino lo ha comprato. Non diciamo di no a tutto questo. Un no convinto, anche se oggi è un grande scandalo e un atto rivoluzionario affermare che la famiglia è quella formata da un uomo e una donna, con la loro eventuale prole e magari con gli anziani nonni accuditi con amore perché non più autosufficienti.
Stanno costruendo un mondo fatto di presunti diritti individuali e di libertà formali garantite. In teoria siamo liberi di fare tutto o quasi… liberi di drogarci, liberi di abortire, liberi di togliere la vita ad esseri umani affetti da gravi patologie e quindi indifesi. Solo diritti e pochi, spesso zero, doveri. Liberi di, ma mai liberi per qualcosa, per realizzare un progetto di vita. Liberi sì, ma dentro un recinto precostituito perché se osi scavalcarlo scatta la censura affidata ai nuovi sacerdoti del pensiero unico di Menlo Park.
Ecco allora il nostro compito è contrastare questa deriva e riaffermare con forza che è la Nazione il luogo in cui i nostri valori si custodiscono e si trasmettono, si rinnovano ogni giorno come senso comune del popolo, forgiano un’identità distintiva che è la più grande ricchezza del mondo.
I nostri avversari ci dipingono come ottusi nazionalisti, innamorati dell’autarchia e chiusi ad ogni confronto, pronti a procurar guerra al primo pretesto (dimenticando quante guerre sono state procurate con la scusa della democrazia e del progresso).
Ma non è così. Il sovranismo delle patrie non vuole distruggere l’Europa ma vuole costruire quella vera, reale, dei popoli e delle identità, non quella astratta decisa nelle oscure stanze di tecnocrati. Non vuole imporre i propri interessi a discapito degli altri Stati.
Quando Trump dice “America first” o noi diciamo “Prima gli italiani”, c’è sicuramente anche un aspetto di difesa dell’interesse economico nazionale rispetto agli altri Stati, ma a mio avviso per noi conservatori il riferimento dovrebbe essere soprattutto alla Grande finanza e ai grandi poteri economici che stanno imponendo la loro volontà agli Stati nazionali. Il messaggio “prima la nostra Patria” vuol dire, nella mia visione, ribadire il primato dell’economia reale su quella finanziaria, ribadire la sovranità popolare sulle entità sovranazionali prive di legittimazione democratica.
Un moderno conservatorismo nazionale difende le identità delle nazioni come base per nuove cooperazioni. È per questo che, mentre difendiamo la sovranità italiana, non dimentichiamo di difendere anche quella dell’Ungheria di Viktor Orban o della Polonia di Kaczynski, ancora una volta sotto attacco da parte del mainstream progressista europeo. È per questo che difendiamo – senza la vergognosa ambiguità che caratterizza la sinistra – il diritto dello Stato di Israele alla sicurezza e a un futuro di pace e prosperità.
Il nostro patriottismo è quello che vuole difendere le nostre Patrie dalle grandi sfide della nostra epoca. Sfide che segneranno il futuro e la sopravvivenza stessa della nostra civiltà e che devono trovarci uniti. La divisione tra nazionalismi esasperati è perdente quanto la debolezza di indefinite entità sovranazionali come la UE. La risposta non può che essere l’alleanza delle patrie che si riconoscono in un destino comune.
È questa visione che ci ha portato ad aderire alla grande famiglia dei Conservatori europei: l’idea di una nuova Europa come confederazione di Stati nazionali sovrani capaci di cooperare su grandi materie e di rimanere liberi di autodeterminarsi sugli aspetti della nostra quotidianità. È molto di più di una scelta di posizionamento politico, è una di scelte di campo.
Ho davanti ai miei occhi una immagine: è quella del Presidente americano Reagan e di Papa Giovanni Paolo II passeggiare nei giardini della residenza del Presidente americano in Florida; era il 1987. È l’immagine di due grandi uomini che percorrono il sentiero della storia insieme, in quello scorcio di XX secolo che avrebbe cambiato il mondo da lì a poco grazie a loro con la caduta del comunismo.
Ricordarli oggi qui, non è un semplice omaggio, è un monito e un impegno per noi: non tradire il loro sogno di libertà, che è anche il nostro.