Buonasera a tutti,
Le polemiche scaturite in seguito all’incontro di Ankara, tra i vertici dell’Unione europea e il Presidente turco, e poi ancora le parole di Mario Draghi molto dure nei confronti di Erdogan, hanno avuto il merito di riaccendere i riflettori sul tema delle relazioni tra l’Unione europea e la Turchia.
Ora io non voglio ora soffermarmi sulle questioni di protocollo, se fosse opportuno o meno prevedere una poltrona in più, se quello di Erdogan sia stato uno sgarbo istituzionale o un affronto sessista. Ho letto molte opinioni a riguardo e probabilmente tutte queste letture hanno un fondo di verità.
Credo che a monte ci sia che due messaggi restano in tutta la loro forza comunicativa e purtroppo sono entrambi dei messaggi negativi. Il primo è che quell’immagine di una donna ai margini, del Presidente Michel impacciato, ha una potenza evocativa fortissima in Turchia e in tutto il mondo islamico. Michel Houellebecq, in un fortunato libro di qualche hanno fa, l’avrebbe definita “Sottomissione” ed è proprio questa la sensazione che io e crede tanti alti abbiamo provato vedendo quelle immagini.
Il secondo, strettamente collegato al primo, è che questa missione doveva essere il momento in cui l’Europa, compattamente, diceva basta alle provocazioni di Erdogan e invece ne è uscita l’immagine di un’Europa divisa e balbettante di fronte ad un interlocutore forte e risoluto.
La verità è che l’UE nei rapporti con la Turchia di Erdogan deve svegliarsi. Negli ultimi anni Erdogan ha intensificato l’involuzione della Turchia in chiave islamista, riducendo gli spazi di libertà e procedendo a riconversioni di luoghi cari alla cristianitá come Santa Sofia; ha messo l’Europa sotto il ricatto migratorio ottenendo dall’Ue miliardi di euro per bloccare i flussi di profughi che arrivavano dalla Siria e di migranti economici dal resto dell’Asia; ha avviato una politica espansionistica nel Medio Oriente e nel Mediterraneo, dalla stessa Siria al Nagorno Karabakh, dalle acque antistanti Grecia e Cipro fino ad arrivare in Libia; ha perseguito un’agenda di politica estera aggressiva di fatto ispirata ad una visione neo-ottomana.
Ma la sua influenza preoccupante si sta esercitando non soltanto fuori dai nostri confini ma anche dentro l’Europa, dove Erdogan si è fatto portatore dell’Islam político, legato alla Fratellanza musulmana, incitando i turchi e i musulmani residenti nel Vecchio Continente a colonizzarci facendo figli e finanziando la costruzione di centri culturali e moschee. Eclatante l’ultima vicenda della più grande moschea di Francia, e forse d’Europa, che verrà costruita proprio a Strasburgo, città considerata da sempre il cuore dell’Europa. Quando qualcuno in Europa ha osato criticare queste scelte, Erdogan ha sempre denunciato una presunta propaganda anti-islamica.
Lo voglio dire chiaramente e a scanso di equivoci: il problema non è l’Islam in sè ma l’utilizzo politico dell’Islam e il sostegno indiretto ai gruppi jihadisti. Il problema non sono i cittadini turchi ma una politica di potenza del governo turco che è largamente incompatibile con i valori e gli interessi europei. È di questo che l’Europa deve prendere consapevolezza.
I rapporti tra Ue e Turchia vanno rivisti necessariamente e rapidamente e vanno rivisti alla luce degli eventi degli ultimi mesi.
Non possiamo più accettare il ricatto migratorio contro uno stato membro come la Grecia e contro l’Unione Europea. L’Unione deve agire per il ritorno in Patria dei profughi siriani e deve difendere i propri confini esterni dall’immigrazione irregolare. Non possiamo più accettare le provocazioni nel Mediterraneo orientale ai danni di Cipro, l’invio di mercenari jihadisti in Artsakh, la politica espansionistica in Libia.
E non possiamo accettare tutto questo. Non possiamo accettare che la Turchia finanzi l’Islam politico in Europa, che alimenta quella separazione culturale denunciata, per una volta correttamente, anche da Macron.
Con una Turchia che ritorni in questo alveo si potranno magari anche fare accordi doganali e commerciali come si fanno del resto con mezzo mondo, difendere la presenza e gli accordi strategici che tante aziende italiane hanno sottoscritto in questi anni. Ma questo non vuol dire che la Turchia sia parte dell’Europa.
Non è un caso che Fratelli d’Italia ritenga che la Turchia, per storia, geografia e cultura, non faccia parte dell’Europa così come noi la intendiamo. E questi atteggiamenti l’hanno ulteriormente allontanata dall’Europa, ai nostri occhi e non solo. È arrivato il momento di revocare definitivamente alla Turchia lo status di paese candidato all’adesione alla Ue e dire no, una volta per tutte, all’ingresso della Turchia in Europa.
Se Mario Draghi vuole essere davvero credibile, anziché dare del dittatore a un presidente comunque eletto dai cittadini, ci aspettiamo che ponga urgentemente questa questione sul tavolo del Consiglio Europeo.
E se lo farà noi saremo al suo fianco e certamente l’Italia farà un servizio all’Europa, che potrà finalmente riscoprire il senso del proprio stare insieme, della propria identità e dei propri interessi geostrategici.