di Giorgia Meloni 7 febbraio 2013
Parafrasando una nota pubblicità, ci sono ‘partiti grandi’ e ci sono ‘grandi partiti’. I primi sono quelli ‘potenti’, più che ‘grandi’, a volte numericamente forti, spesso con tanti soldi, visibilità e un capo carismatico.
Questi partiti hanno leadership autocratiche che funzionano benissimo nei contesti storici di passaggio tra un ciclo e l’altro, ma non sono quasi mai in grado di consolidare il progetto iniziale che aveva scatenato entusiasmi e aggregazione. Spesso questi ‘partiti potenti’ si riducono a comitati elettorali permanenti e ne approfittano personaggi impresentabili che, in breve, diventano veri e propri oligarchi. Risultato: il ‘partito potente’ si trova senz’anima e senza politica. Non conoscono regole, né democrazia, non prediligono il merito né sono interessati ad ascoltare. Perché sanno odiosamente tutto loro. Più che ‘partiti grandi’ di una moderna democrazia sembrano corti caricaturali di vecchie monarchie fuori tempo. Poi ci sono i ‘grandi partiti’ bche attraversano il tempo, la loro dimensione numerica è stabilita dalla gente che li vota e non dai ‘potenti’ poco consistenti.
La loro grandezza è data dalla straordinaria normalità perché sono lo specchio della società. In una Nazione in cui la politica è ridotta a un circo, dove i ‘partiti potenti’ hanno trasformato nani, ballerine, veline, servitori sciocchi in rappresentanti del popolo è una fortuna che esistano ancora ‘grandi-piccoli partiti’.
È piccolo o grande chi ha un progetto politico ed è libero dai condizionamenti? E come si può definire chi non accetta di essere catapultato in lista dal ‘sovrano’ e sceglie di misurarsi con il consenso della gente? E chi fa dell’onestà una ragione di vita? Chi ha come obiettivo unico il bene nazionale? Chi vuole combattere le bande d’affari che hanno messo in ginocchio l’Italia? Chi vuole che a guidare la Nazione siano i migliori e non i più servili? Ecco perché tifiamo per i ‘grandi partiti’ e ci auguriamo la sconfitta dei ‘partiti potenti’. Tra il ‘partito grande’ e il ‘grande partito’ è normale che esista una dialettica, soprattutto se sono nella stessa coalizione. Ma non si deve mai oltrepassare la misura. Per questo, l’invito di Berlusconi e del PdL a non votare i piccoli partiti (che magari sono grandi) tradisce maleducazione e, anche, qualche timore.
Del resto concorriamo insieme per impedire che l’Italia cada nelle mani di una ‘Santa Alleanza’ fatta da una vecchia sinistra e una nuova tecnocrazia senz’anima. Gli amici del PdL non lo dimentichino e, nel caso, si rileggano la storia di quei due, uno piccolo e uno grosso. Il primo è risultato ‘grande’, il secondo solo ‘potente’. Come si chiamavano? Ah sì, Davide e Golia.