di Tommaso Foti
18 giugno 2013
Prima che diventi, nella migliore tradizione italica, un tormentone estivo, occorre sgombrare il campo da equivoci pericolosi: il tema della presenza e del ruolo della destra nel nostro sistema politico non è conseguenza dell’ennesimo cappotto collezionato dal centrodestra nelle recenti elezioni amministrative. Anche perché, anche nel passato, analoghe sconfitte si erano già verificate. Il tema è sul tavolo, a prescindere dai risultati elettorali, poiché è evidente che non si può affidare una cultura e un tradizione politica radicata nella società italiana al caso o alla pesca delle occasioni.
A vent’anni dall’essere diventata anche forza di governo, la Destra ha il dovere di chiedersi se deve considerare esaurita la propria funzione nella società , oppure e se per conto – come chi scrive crede – proprio gli effetti di una globalizzazione piegata ai voleri della finanza e del potere tecnocratico, non ne rendano ancora più attuale l’originalità di quelle idee che ne costituiscono il Dna.
Sappiamo bene che amici di tante battaglie, interessati a giustificare a se stessi certe imbarazzanti scelte, incapaci di scrollarsi di dosso la gratitudine per chi li avrebbe sdoganati, in alcuni casi smaniosi di custodire gelosamente lo sgabello a tre gambe sulle quali hanno posato le natiche, non condividono l’idea di ridisegnare uno spazio politico autonomo per la Destra.
Occorre prenderne atto, rispettarne – quando lo meritano – le personali ragioni, ma evitare di confidare in una loro conversione o comunque di attenderla, la qual cosa finirebbe unicamente per fare perdere tempo prezioso. Lo stesso prezioso tempo che perdemmo quando, un anno fa – proprio di questi tempi – nel corso di una lunga riunione in un albergo romano, venimmo convinti a restare nel PdL per fare le primarie e sostenere il rinnovamento generazionale che quest’ultime avrebbero portato.
Con quali risultati lo sappiamo bene noi, almeno quelli che quando c’è stato da decidere in “zona Cesarini”di certo non si sono tirati indietro, incuranti della poltrona che si lasciava, pienamente convinti di quanto certe letture giovanili ci avevano insegnato (“Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le proprie idee o non vale niente lui o non valgono niente le sue idee”).
Noi all’idea della Destra ci crediamo: non a quella della contingenza afascista o postfascista, non a quella delle parole d’ordine e degli orpelli, non a quella del colore delle camice o delle sahariane. Noi crediamo alla Destra di quei valori che esulano dal contingente, avendo al riguardo ben chiaro la gerarchia degli stessi (per dirla con Adriano Romualdi: “Per il vero uomo di destra, prima della cultura vengono i genuini valori dello spirito che trovano espressione nello stile di vita delle vere aristocrazie, nelle organizzazioni militari, nelle tradizioni religiose ancora vive e operanti”) e il nostro modo di essere conservatori (giusto l’insegnamento di Moeller van de Bruck: “essere conservatori non significa dipendere da ciò che è stato ieri, ma vivere di ciò che è eterno”).
Qualcuno si chiederà cosa c’entri tutto ciò con il dibattito sulla “cosa” nera, interessatamente gonfiato da chi, temendo il ritorno di una presenza politica autonoma della Destra, alimenta scenari da operetta in cui colonnelli, capitani e sergenti di un’ex partito (che il sommo generale volle frettolosamente liquidare) dissertano sulla necessità o meno di una sua resurrezione.
Giusto per essere chiari: di cose “nere”, “blu”, “tricolori” e chi ha più inventiva coni altre espressioni, nessuno avverte il bisogno.
Qui si tratta, infatti, non di mettere assieme spezzoni di classi dirigenti (adulte o giovanili) del passato, anche se recente. Qui non s’avverte né l’utilità, né la necessità di un nuovo disco per l’estate (“cosa nera, cosa nera, sol con te si fa carriera”): la missione è quella di ridare dignità ed autorevolezza ad idee e valori che – come i piselli troppo a lungo nel barattolo ne prendono l’odore – troppo spesso contaminati dalle lusinghe del potere si sono, a lungo andare, smarriti.
Scusate se è poco. Non è più l’ora del crepuscolo, né il tempo dell’attesa: avanti, senza paura.