di Massimo Corsaro
8 luglio 2013
Non ve l’hanno scritto sui giornali, ve l’han taciuto in tv. Ma questa settimana, alla Camera, la maggioranza delle larghe fandonie, con l’aggiunta dei Vendoliani, ha messo in scena la porcata dell’indulto e dell’amnistia camuffati. Dopo aver rinviato la soluzione sull’Imu e quella sull’Iva, dopo aver rimandato la scelta sugli F35 e finanche l’elezione di un vicepresidente della Camera (stante la difficoltà di raccogliere i voti necessari per la signora Sallusti), gli è parso inderogabile trattare con urgenza e contingentamento dei tempi di discussione un provvedimento che eleva a 6 anni di pena edittale il limite sotto il quale i detenuti possono chiedere di commutare la loro detenzione carceraria (cioè indulto) in arresti domiciliari o affidamenti ai servizi sociali, o addirittura ricorrere all’istituto della “messa in prova”, simpatico trucchetto che estingue la pena (in questo caso, chiamasi amnistia). E siccome l’art. 79 della Costituzione prevede che per concedere indulto o amnistia il Parlamento deve votare la legge con una maggioranza qualificata dei due terzi degli aventi diritto in ogni articolo e nella votazione finale, i nostri eroi – privi dei 420 voti necessari – hanno dato altro nome al provvedimento attribuendone le motivazioni alla necessità di sfoltire le carceri, che sono sovraffollate.
Ora, il tema della condizione carceraria è certamente vero, e i nostri penitenziari sono indegni di una Nazione civile. Ma pensare di risolvere il problema facendo uscire i delinquenti è delirante; è un po’ come se comminassimo l’eutanasia forzata ai degenti quando mancano i posti letto in ospedale, o come se risolvessimo l’overbooking dei cimiteri lasciando il caro estinto per le strade.
Soprattutto, se si vuol fare un’analisi più seria della popolazione carceraria, ne vanno letti gli elementi costitutivi: 1) il 75% dei detenuti è in attesa di giudizio, segno di un abuso dello strumento della carcerazione preventiva. Troppi sono quelli che poi vengono riconosciuti non colpevoli e vengono rimessi in libertà senza neanche chiedere scusa, lasciando loro a vita il marchio infamante ed il segno di un’esperienza indelebile; 2) oltre il 30% è costituito da stranieri, prevalentemente extracomunitari; per i quali sarebbe assai più sensato redigere accordi bilaterali con i paesi d’origine per garantire che ognuno sconti la pena a casa sua. Con la legge delega approvata alla Camera, si sceglie invece di trovare una via d’uscita per chi sta scontando una pena, ovvero per quelli che sono stati riconosciuti colpevoli dopo 3 gradi di giudizio, tenendo al gabbio quanti ancora attendono le risultanze di un processo.
Peraltro, il limite di applicazione elevato a 6 anni, consente di rimettere in libertà chi si è reso colpevole di reati particolarmente odiosi sotto il profilo sociale quali, ad esempio, il furto aggravato, il blocco o manomissione dei servizi di trasporto pubblico, lo stalking, la prostituzione minorile, l’induzione ad accattonaggio minorile, oltre a tutti i reati di natura tributaria. E tutto ciò anche per i plurirecidivi, ovvero quelli che sono condannati almeno 3 volte per lo stesso reato. Quindi, per capirci, chi è stato condannato più volte per stalking o sfruttamento di minori, potrà andare a finire la propria pena a casa, dove facilmente troverà le donne e i minori che ha lungamente perseguitato. Il tutto, in spregio totale verso le Forze dell’Ordine, delle quali da un lato si vanifica il lavoro rimettendo in circolazione i delinquenti assicurati alle Patrie galere, dall’altro si aggiunge il compito di controllare se chi è messo fuori di galera rimane a casa e si comporta bene. Il tutto, beninteso, senza neanche un aumento di organico e risorse, giacchè la maggioranza ha bocciato un emendamento in tal senso sostenuto in Aula da Fratelli d’Italia, Lega e M5S. A nulla è valso ricordare i precedenti: quando un’analoga porcata venne fatta dal Governo Prodi, il risultato fu che già prima del compimento di un anno dall’apertura delle celle, il 20% era stato trovato a delinquere ed era stato rimesso in carcere. Se si pensa che in Italia si individua solo circa il 25% dei colpevoli di reati, non è azzardato immaginare che quasi tutti i fruitori dell’indulto del 2006 sia tornato a delinquere in breve tempo. Intendiamoci, quello che è successo è la naturale traduzione dell’idem sentire della sinistra, da sempre votata ad anteporre l’attenzione verso i colpevoli sempre giustificati dalle brutture di una società che li opprime, piuttosto che pensare alla tutela della sicurezza ed al risarcimento, morale e materiale, delle vittime. Infatti, nelle giornate di dibattito in Aula, a fronteggiare le tesi argomentate da Fratelli d’Italia e Lega, ed appoggiate dalla forza numerica dei pentastellati, si è cimentata SEL. In particolare, un pittoresco collega trinariciuto ci ha più volte deliziati con la sua teoria secondo la quale la chiusura delle galere è il naturale passo di un percorso evolutivo dai tempi in cui c’erano la tortura e la pena di morte, e i detenuti venivano schiacciati dai cavalli (sic!). È inorridito quando gli ho detto che è proprio la pena che reintrodurrei per chi sfrutta i minori, e se n’è andato macerato nel dubbio quando gli si è ricordato che abolendo le carceri lui non saprebbe più dove mettere Berlusconi. Ma il vero tema della settimana, è stato per certo l’assordante, imbarazzante, complice silenzio con il quale il PDL ha accompagnato ogni votazione di questo vergognoso provvedimento. Quando si trattava di prender voti li ricordiamo nelle piazze a scimmiottare le nostre parole, a gridare del rispetto per il lavoro delle Forze dell’Ordine, rivendicare la certezza della piena, chiedere il risarcimento alle vittime, invocare il rinvio a casa loro dei detenuti stranieri, a garantire che “amnistia e indulto? Mai più!”.
Abbiamo provato più volte, inutilmente, a richiamarli alla coerenza; ho citato nei miei interventi le apodittiche asserzioni con le quali in questi anni siamo stati deliziati dai vari Alfano, Quagliariello, Gasparri e Santanchè. Niente da fare, con la lodevole eccezione di Maurizio Bianconi che ha dichiarato il suo voto contrario in dissenso dal gruppo, non si è alzata una voce a rappresentare l’imbarazzo che era pur palpabile in molti di loro. Peccato, perché la coerenza e la dignità sono treni che non ripassano, e quando ne scendi li hai persi per sempre.
L’importante ora è saperlo, ricordarlo, e non cascarci più. Sapere che se da oggi qualcuno di questi signori si azzarderà a parlare ancora di sicurezza e diritti delle vittime, avrà solo diritto all’esposizione al pubblico ludibrio e all’indelebile attribuzione della qualifica di ciarlatano. Per parte nostra, Fratelli d’Italia ha già annunciato in Aula un ricorso alla Consulta per veder invalidato un provvedimento dichiarato approvato pur in assenza della citata maggioranza costituzionalmente prevista. In ogni caso, non molleremo, fosse anche necessaria una raccolta di firme per il referendum abrogativo di una legge che straccia la giustizia, rimette in condizione di delinquere persone che dovrebbero restare in galera, e mortifica le legittime attese delle vittime.