di Federico Iadicicco
Ormai da alcuni anni, in questi ultimi mesi in particolare, a seguito di alcune proposte legislative si è sviluppato – in Italia e non solo – un dibattito dai toni molto accesi sul ruolo e sulle forme che la famiglia assume nella società attuale. Ho provato a proporre puntualmente alcune considerazioni utili non solo a dare forza a chi come me difende e promuove la famiglia ‘naturale’, ma anche utili a ricondurre ad unità, attraverso la ragionevolezza, tutti coloro che in buona fede si sono avventurati per sentieri impervi, alla ricerca di approdi sicuri, che di fatto si rilevano fallaci o semplicemente inesistenti.
1. I gruppi che apertamente osteggiano o comunque si collocano su posizioni critiche rispetto al nostro orientamento sulla famiglia sostengono – seppure con sfumature diverse e con una semplificazione dei termini forse un po’ riduttiva, ma necessaria per capire – che oggi sia in corso l’ennesima battaglia epocale tipica del tempo moderno tra due contendenti. Questi contendenti sarebbero la ragione/ragionevolezza/libertà (di cui loro sono portatori) contro la religione/ideologia/arbitrio costrittivo (di cui noi saremmo esponenti più o meno consapevoli). Una serena argomentazione, a mio parere, rende palese che affermano una mezza verità, quindi uno dei ‘falsi’ più pericolosi. Ci troviamo in realtà di fronte ad una sfida che effettivamente vede confrontarsi queste due forze in campo: solo che gli esponenti delle due squadre portano le maglie esattamente invertite! Stiamo dicendo quindi che chi difende la c.d. famiglia “naturale” agisce secondo ragionevolezza e libertà, mentre sull’altra sponda militano volentieri ideologia e arbitrio. Cerchiamo di vedere di seguito con chiarezza il perché.
2. La famiglia quale unione stabile fra un uomo e una donna, potenzialmente aperti alla prospettiva della procreazione, viene definita “naturale” non in contrapposizione ad altre forme presunte di famiglia, quasi che la famiglia fosse espressione solo di un dato socio-culturale, o affettivo, ma proprio perché espressione di un dato strutturale, costitutivo, del mondo reale. La famiglia è quindi definita ‘naturale’ non in funzione dei comportamenti/desideri/pulsioni ‘naturali’ dei suoi singoli componenti (sarebbe un criterio puramente soggettivo), ma perché il fatto stesso della sua esistenza la rende oggettivamente fondativa dell’esistenza umana e quindi della natura umana. La famiglia quindi è naturale perché è la cellula prima e fondamentale della società: senza di essa non ci sarebbe società, perché non ci sarebbe vita propriamente umana, vita-in-relazione, vita aperta ad altra vita. Senza l’esistenza di una famiglia prima di me e intorno a me, io non scriverei questo articolo e nessuno lo leggerebbe. La famiglia è il luogo ‘naturale’ della vita.
3. Questo dato è un dato oggettivo, strutturale, come visto. Un buon sistema giuridico, come insegna tutta l’antica tradizione giuridica del diritto romano e praticamente tutto il diritto moderno occidentale, deve ordinare e disciplinare i dati oggettivi e strutturali (non tutti, solo quelli strettamente necessari per assicurare una sopravvivenza il più possibile armonica del corpo sociale, senza annullare l’unicità della persona umana e la sua libertà). In particolare, le norme giuridiche che regolano la famiglia, se fossero fatte secondo i predetti criteri che hanno sempre guidato l’attività normativa più sana, non dovrebbero avere l’obiettivo di normare gli affetti/le pulsioni della sfera individuale e gli effetti diretti ed indiretti di questi sulla sfera affettiva/emozionale di altri individui, come erroneamente finiscono per sostenere i promotori del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Gli affetti/le pulsioni esistono come un dato antropologico preesistente alla normazione e di per sé non dovrebbero diventare contenuto di un atto normativo: non se ne rintraccia né la necessità, né l’opportunità. Il particolare riconoscimento giuridico che viene dato alla famiglia non dipende quindi dalla rilevanza della dimensione affettiva che essa sprigiona, ma dal valore che le si riconosce come ‘luogo’ di relazione e di nascita, di cura e di formazione della persona umana, nonché di orientamento verso il suo vivere relazionale (come cittadino, ecc.). ‘Luogo’ unico ed insostituibile come da sempre, seppur con forme e modalità diverse, riconosce la ragione umana. La ragione: non un’ideologia religiosa! Non c’è nessuna imposizione, piuttosto un’auto-evidenza che può e dovrebbe parlare al cuore dell’uomo.
4. La teoria del genere non a caso è stata creata in tempi recenti con la finalità non dichiarata di supportare un profondo mutamento culturale, indotto. Quel mutamento che si è appena sopra smascherato. Si vuole in particolare oscurare la naturale distinzione dei due sessi, che è il fondamento della famiglia naturale. Tale teoria non è affatto ‘scientifica’, ma piuttosto rappresenta una vera e propria ideologia. Ad un osservatore sereno non può sfuggire che si poggi su assunti assolutamente parziali, spesso non comprovati o addirittura privi di qualsiasi fondamento scientifico. La teoria, in sintesi, sostiene che, seppure di sesso geneticamente maschile o femminile, ogni uomo in base alle condizioni culturali e sociali, nonché psicologiche soggettive, può liberamente ritenersi di genere diverso. E’ difficile dire quanti siano i generi, c’è chi ne teorizza – incrociando le varie possibilità – addirittura 23 (uomo, donna, omosessuale, transessuale, trans gender, ecc.), mescolando però elementi non coerenti. In realtà, il comune denominatore di tutto sembra soltanto la soggettiva percezione psicologica dell’io individuale, a prescindere da ogni dato oggettivo. Per cui, ad esempio, una persona, seppur biologicamente e geneticamente uomo, può ‘liberamente’ (ma è vera libertà?) sentirsi di genere donna! Curioso e inquietante è però anche un altro dato, vale a dire che la teoria funziona solo in senso per così dire monodirezionale. Se fosse obiettiva e non ideologica, dovrebbe ammettere la possibilità che la libertà individuale si orienti anche nella direzione diametralmente opposta: p. es. se un individuo di sesso maschile dichiara di essere di genere omosessuale e quindi di voler fare scelte di vita condivise altri individui di sesso maschile e di genere omossessuale, la teoria lo accoglie e lo giustifica, lo tutela e lo protegge; se invece un individuo di sesso maschile e di genere omosessuale dichiara di voler lasciare la condizione omosessuale (avendo evidentemente cambiato per qualche ragione la sua auto-percezione soggettiva), per fare scelte di vita con individui di sesso femminile è uno da compatire, addirittura un prevaricatore, un pericoloso squilibrato da squalificare anche pesantemente e possibilmente da mettere a tacere. E’ evidente che le persone razionali non possono che rifiutare un teorema ideologico, dai contorni grotteschi che scade nell’oscurantismo, se non nella malafede. La principale sostenitrice della teoria di genere è la lobby gay. Che esista tale ‘lobby’ e che essa difenda (ovviamente) interessi politici ed economici propri è un dato indiscutibile: lo ha apertamente affermato anche il Santo Padre Francesco e nessuno l’ha smentito. Ma è altrettanto incontrovertibile che essa non è affatto rappresentativa delle persone omosessuali, le quali, a grande maggioranza, per quanto è dato di sapere, non rivendicano affatto un “diritto al matrimonio”, la possibilità di adottare bambini o di ricorrere a forme di fecondazione eterologa per poter diventare genitori.
5. Il DDL ‘Scalfarotto ed altri’ (“Disposizioni in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia”), dietro la pretesa volontà di contrastare atteggiamenti discriminatori cosiddetti omofobi nasconde, nemmeno troppo velatamente, la volontà di rendere sanzionabile qualsiasi libera e legittima manifestazione di pensiero contraria ad un’attività di legiferazione che equipari giuridicamente le relazioni non eterosessuali a quelle eterosessuali (p. es. i matrimoni tra omosessuali, oppure le adozioni a coppie omosessuali). Si realizza così il paradosso consapevole di un DDL antidiscriminazione che produce invece una discriminazione e un danno alla libera espressione del pensiero, quindi ad un valore tutelato costituzionalmente (art. 19). Il suddetto DDL viene presentato all’opinione pubblica come urgente e necessario di fronte al dilagare di fenomeni discriminatori nei confronti degli omosessuali. Questo assunto è semplicemente falso, non risponde alla realtà dei fatti. Non vi è alcuna emergenza omofobia in Italia, lo dicono i dati dei reati e le segnalazioni dello stesso “Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori”, costituito nel 2010 con lo scopo di monitorare il fenomeno per agevolarne la denuncia. Questo Osservatorio, nella sua relazione dei tre anni di attività, offre dati inequivocabili: nel triennio ci sono state 611 segnalazioni di atti discriminatori, di cui 253 costituenti reato, fra cui solo 83 riguardanti l’orientamento sessuale (rappresentano quindi solo il 13,6% del totale). Di queste 83 (cioè di questo 13,6% complessivo), il 42,17% è rappresentato da offese, il 39,76% sono aggressioni/lesioni, il 4,82% danneggiamenti, il 4,82% casi di suicidio, il 2,41% minacce. Per dare un’idea, sono in media circa una dozzina di aggressioni/lesioni all’anno su tutto il territorio nazionale. Esattamente, parrebbe, quelle che riportano i giornali e la televisione, con grande rilievo. Ci sono già molte leggi per reprimere questi comportamenti contro le persone. Esse non fanno altro che rispecchiare la Costituzione, che all’art. 3 già tutela la pari dignità di tutti i cittadini. Ferma restando la condanna di qualsiasi atto lesivo della dignità e/o dell’integrità psico-fisica delle persone, confrontare questi dati con quelli sui generici reati contro la persona dimostra perlomeno l’inesistenza del requisito dell’emergenza e forse anche la strumentalità dell’operazione.
6. Lo scenario descritto evidenzia come stia sorgendo una ‘Neolingua’, utilizzata dai commensali del pensiero unico per reprimere ogni forma di dissenso, manipolare la verità attraverso la distorsione del linguaggio. Per spiegare meglio lascio spazio alle parole di Roger Scruton: “La neolingua interviene ogni volta che il proposito principale della lingua, che è di descrivere la realtà, venga sostituito dall’intento opposto: l’affermazione del potere sopra di essa. Qui l’atto linguistico fondamentale solo superficialmente coincide con la grammatica assertiva. Le frasi della neolingua suonano come asserzioni in cui la sola logica sottostante è quella della formula magica: mostrano il trionfo delle parole sulle cose, la futilità dell’argomentazione razionale e il pericolo di resistere all’incantesimo. Come conseguenza, la neolingua ha sviluppato una sua speciale sintassi che, sebbene strettamente connessa a quella normalmente usata nelle descrizioni ordinarie, evita accuratamente anche solo di sfiorare la realtà o di confrontarsi con la logica”. Pensando all’uso che si fa dei termini omofobia, matrimonio, discriminazione calati nel contesto sin qui visto, si comprende quanto è inquietante e oppressiva la cappa sprigionata da questa costruzione ideologica che attraverso la distorsione e la strumentalizzazione del linguaggio tende ad escludere qualsiasi forma di pensiero ‘dissidente’ rispetto a quello ufficiale.
7. L’aggregazione delle forze che comprendono il valore della partecipazione attiva a questa sfida antropologica dovrebbe fare ogni sforzo utile per essere unita: ogni ‘distinguo’ cavilloso – soprattutto se espresso pubblicamente con grande enfasi – pare denotare una grossa dose di incapacità di cogliere le dinamiche storiche del momento e forse anche di immaturità (nonché, probabilmente, cela un corposo egocentrismo). Dobbiamo adoperarci per unire quante più associazioni, ambienti, persone singole che condividano razionalmente la necessità non solo di difendere la famiglia, ma di offrirla come antidoto alla crisi. E’ necessario costruire luoghi di incontro e di confronto più aperti possibile al contributo di ognuno e più scevri possibile da rivendicazioni individualiste ed egemoniche di chiunque. Costruire una proposta comunitaria ed inclusiva è un grande passo in avanti, perché di per sé già testimonia il senso che per noi ha la famiglia quale comunità fondativa della società.
8. La battaglia sulla famiglia è di suo inserita all’interno di una più ampia proposta antropologica e non può essere in nessuna maniera separata da una visione integrale dell’uomo: non esiste una specie di “rivendicazione di categoria” per la famiglia, esiste una sua difesa e valorizzazione finalizzata alla difesa e valorizzazione dell’uomo, “di ogni uomo e di tutto l’uomo”. Da questo discende l’ultima e conclusiva considerazioni: la tutela dei c.d. principi non negoziabili non è alternativa e separabile dalla tutela della persona nel campo economico e sociale; e viceversa. Quindi non si può razionalmente dire di “essere per la famiglia” e poi contemporaneamente difendere e promuovere gli interessi della finanza speculativa e di un capitalismo senz’anima; e di contro non ci si può occupare degli ‘ultimi’, dei ‘deboli’ esclusivamente occupandosi della povertà materiale e della sua genesi nei fattori economici, senza difendere gli ‘ultimi’ ed i ‘deboli’ che non fanno notizia: i feti, gli embrioni, i malati terminali, in una parola: la famiglia, che è anche la grande “famiglia umana”.