Caro Direttore,
in molti hanno fatto dell’europeismo lo spartiacque su cui il nuovo governo è nato, ma in realtà si sarebbe dovuto parlare dell’adesione di una certa visione di Europa. Lo stesso Draghi, nel suo intervento programmatico, ha ben chiarito la sua prospettiva: quella di una sempre maggiore cessione di sovranità dagli Stati nazionali all’Unione europea. Ecco, noi abbiamo una visione diversa e non per questo siamo nemici dell’Europa. Anzi. La famiglia dei Conservatori europei, che ho l’onore di presiedere, vorrebbe un’Europa migliore, capace di concentrare i propri sforzi su alcune materie importanti sulle quali può offrire davvero un valore aggiunto, anziché chiedere sempre più poteri senza spesso sapere nemmeno esercitarli. Prendiamo come ultimo esempio il contrasto alla pandemia: ha senso che l’onnipresente UE non abbia una strategia unica neppure in tema sanitario o di lockdown? E così via, dalla politica estera alla difesa passando per la ricerca.
Del resto, e qui sta il punto politico, la visione confederale dell’Europa a cui ci ispiriamo ha sempre avuto piena cittadinanza nel dibattito europeo: dai padri fondatori che costruirono l’Europa sul motto “uniti nelle diversità” fino all’Europa delle Patrie di De Gaulle. Soltanto negli ultimi anni la narrazione mainstream ha costruito l’equazione tra europeismo e super-Stato Ue. Un’equazione che noi respingiamo nel nome di quella che Roger Scruton, gigante del pensiero conservatore scomparso un anno fa, definiva la “vera Europa”. L’europeismo rischia quindi di diventare una foglia di fico dietro la quale coprire un’operazione, quella del governo Draghi, costituzionalmente legittima ma politicamente senza eguali in Europa e forse nel mondo democratico.
Già, perché nessun altro Stato europeo è guidato da un Presidente del Consiglio che non abbia ottenuto, direttamente o indirettamente, un mandato nel corso delle elezioni politiche.
Modello confederale e legittimità popolare sono due prerogative dei movimenti conservatori, per questo tra i 44 partiti che aderiscono ai Conservatori europei, non ce n’è uno che stia al governo con le sinistre federaliste e globaliste.
Un governo a guida tecnica nato nelle dinamiche di palazzo è un’anomalia soltanto italiana – lo ha sottolineato qualche giorno fa persino l’Economist – perché normalmente, nelle democrazie, il ricorso alle urne viene considerato il momento più alto e non una tentazione golpista. E perché, come ha ben spiegato Massimo Cacciari, se nei momenti di difficoltà la politica non trova la forza per assumersi le proprie responsabilità, i cittadini finiranno per pensare che se ne possa fare a meno. Così come è incomprensibile la tesi secondo la quale la scelta di Fratelli d’Italia di garantire una opposizione sarebbe irresponsabile e contraria all’interesse della Nazione. È semmai il contrario, atteso che senza opposizione non può esistere democrazia.
Dal nostro punto di vista, quindi, non si tratta né di essere pro o contro Draghi – personalità certamente rispettabile – e nemmeno di essere pro o contro l’Europa, sulla cui costruzione futura è legittimo avere opinioni differenti. Si tratta, più semplicemente, di non rassegnarsi all’idea che quella italiana sia una democrazia dimezzata, nella quale il voto dei cittadini conta sempre meno e quando il gioco si fa duro arriva qualcuno calato dall’alto per provare a fare ciò che chi viene scelto dal popolo non saprebbe certamente fare. A questo racconto, che fa dell’Italia una Nazione arretrata e non un’avanguardia come si vuole raccontare, Fratelli d’Italia non si piegherà mai.
Giorgia Meloni
Presidente di Fratelli d’Italia e dei Conservatori europei (ECR Party)