25 aprile 2013. Tutti parlano dell’Italia liberata, noi vorremmo parlare dell’Italia da liberare. Perché una Nazione quando sembra incapace di autodeterminare il proprio destino non può dirsi libera. Così come un popolo che, per un motivo o per l’altro, si sente privato della possibilità di scegliere il proprio governo non può dirsi libero. Non ci sono altre parole per definire una situazione come quella di oggi in cui poche persone, chiuse dentro una stanza, nominano in nome e per conto degli italiani centinaia di parlamentari grazie ad una legge elettorale oligarchica. Per non parlare di un premier, o di un programma da realizzare, o di una coalizione di governo mai votati direttamente dagli italiani, ma che nascono come frutto di alchimie di Palazzo, quando non sono direttamente figli d’interessi geoeconomici internazionali.
Ci dispiace, ma l’Italia è ancora da liberare. Dall’utopia delle larghe intese tanto per cominciare, in una Nazione dove i partiti non riescono neppure a trovare le piccole intese all’interno della propria classe dirigente. Dall’ipocrisia dei “saggi” che occupano da anni posizioni di potere enormi ma scoprono ora l’acqua calda della disoccupazione, dei salari da fame, della tassazione infernale, della giustizia che non funziona, dell’ordinamento costituzionale da riformare, dei servizi sociali e scolastici stremati dopo anni di accettate. I saggi dovrebbero indicare le soluzioni, non elencare problemi. Quelli li conosciamo bene, perché frequentiamo anche noi internet, ma pure i mercati rionali, le strade, le scuole, i centri per l’impiego, i Comuni, le aziende in crisi e quelle che “tirano la carretta”, insomma conosciamo la trincea della vita reale. D’altra parte, conosciamo da vicino anche i corridoi eleganti del Palazzo, insieme a tutti coloro che li frequentano.
Potevamo far finta di credere alla favola di Pd, Pdl, Lega e Lista Monti che seduti intorno ad un tavolo traggono dalla relazione dei saggi le risposte concrete che servono, quando la pensano in maniera diametralmente opposta su tutti i temi più importanti sul piatto della nostra epoca? Noi no. Non è un pregiudizio il nostro, ma un postgiudizio. L’abbiamo già sentita questa storiella, si chiamava governo Monti. E non ha dato i frutti sperati, per usare un eufemismo.
Abbiamo una personale stima per l’uomo incaricato di formare un governo da Napolitano, anche a prescindere dalla sua “inevitabile” partecipazione alla Trilateral, ma fatichiamo a credere che le buone intenzioni non si sfracellino su pessimi piccoli interessi e ambizioni. Avevamo anche offerto una timida disponibilità al presidente della Repubblica nell’ipotesi di un governo provvisorio di rottura, solo perché culliamo il sogno di una Terza Repubblica, finalmente nuova e libera dal giogo del secolo scorso, libera da vincoli con poteri sempre più forti e vicina ad una Italia sempre più debole. Invano. Perché dalle agenzie di stampa, dai retroscena che sentiamo, dai nomi che circolano si evince una scelta di continuità, che cerca di auto perpetrarsi dietro un volto presentabile. Vogliamo stare all’opposizione perché temiamo che l’unico vero interesse che può far da levatrice al governo Letta, o comunque si chiami un esecutivo in questa legislatura, sia il posto da parlamentare e di conseguenza la paura delle elezioni. Questo non ci impedirà di sostenere e votare in Parlamento qualunque iniziativa, intrapresa da qualunque governo, capace di alleviare le sofferenze del popolo italiano e di avviarlo sulla buona strada del futuro. Così come saremo i primi a riconoscere nel prossimo Presidente del Consiglio, il presidente del governo italiano, e quindi anche il nostro presidente. Perché siamo stufi di un modo tutto italiano di fare opposizione sperando che chi governa fallisca e cercando di sminuirne il ruolo e la rappresentatività.
Purtroppo temiamo che andrà diversamente: si litigherà di continuo e si perderà del tempo prezioso. E se ciò accadrà, noi, Fratelli d’Italia, non faremo sconti a nessuno.