di Gloria Sabatini
L’allegro chirurgo toglie in disturbo ma resta in stand by. Ignazio Marino lascia e ricatta tutti minacciando di scodellare i nomi del malaffare capitolino (proprio lui?). E adesso cominciano i guai per i contendenti alla successione. Dopo aver tenuto in piedi il sindaco fantoccio affiancandogli il badante Gabrielli e il prezzemolino Orfini, Matteo Renzi è costretto a rassegnarsi: a maggio (nell’election day per il rinnovo delle amministrazioni di Torino, Bologna, Napoli e Milano) i romani torneranno a votare.
Dopo Marino, Grillo
In poche, come da copione, è scattato il toto-nomi tra veline, ipotesi rocambolesche, giochi a bruciare gli sfidanti, calcoli aritmetici sondaggi alla mano. In pole position nella successione a Marino i grillini, che potrebbero schierare il belloccio e popolarissimo Alessandro Di Battista, naif quanto basta, un po’ barricadero, un po’ pariolino. Ma non è l’unico, poche ore fa la deputata romana Roberta Lombardi ha confidato a La Zanzara che le piacerebbe fare il sindaco di Roma… salvo poi spiegare che da parlamentare la candidatura sarebbe incompatibile (è una delle regole ferree del vademecum Grillo-Casaleggio). I pentastellati mordono il freno e chiedono di essere messi alla prova, subito, anche se in molti ironizzano sull’inesperienza amministrativa del manipolo dell’ex comico. Ma i sondaggi non lasciano dubbi, se si votasse domani il primo cittadino romano avrebbe i galloni Cinque Stelle.
Meloni in pole position
Nel centrodestra da settimane e settimane si fa il nome di Giorgia Meloni, che finora ha sempre glissato anche quando in diretta tv, dal salotto di Barbara D’Urso Matteo Salvini (che in queste ore ha frenato) e Giovanni Toti hanno fatto il nome della bionda leader di Fratelli d’Italia alla successione di Marino. «Me state a mette in mezzo, dicono a Roma», ha scherzato la Meloni che punta alle primarie e chiede un tavolo ad hoc per parlare di idee (i nomi possono aspettare). «Ho letto la lettera di Marino che contiene la minaccia ai romani del ritiro, entro 20 giorni, delle sue dimissioni. Una vergogna infinita. Il Pd dimostri di non essere disposto davvero a prolungare strumentalmente l’agonia di questa amministrazione firmando insieme ai nostri consiglieri le dimissioni immediate. Solo questo atto eviterà al marziano di continuare a restare sindaco», scrive su Facebook.
Da mesi scalda i muscoli Alfio Marchini. Per non perdere tempi il Ridge capitolino, l’imprenditore con il cuore che batte a sinistra e molto amato dal “generone” romano, ha messo in piedi la sua lista civica sperando che il bis porti fortuna. «Due anni fa promisi che non avrei mai mollato un centimetro. Oggi siamo ancor più convinti e numerosi. Noi ci siamo», scrive su Facebook in cerca di alleanze. C’è chi giura che abbia già chiuso con il Cavaliere, chi racconta di corteggiamenti serrati da parte del Nazareno. Finora è l’unica candidatura ufficiale ma anche la più sbiadita, buona per tutte le stagioni.
Il caos del Pd
In casa dem si parla molto (e bene) di Roberto Giachetti, ma lui, radicale della prima ora, movimentista doc, oggi democratico modello, non ne vuole sentir parlare. Tra i nomi anche quello di Marianna Madia, ministra della Pubblica amministrazione, e del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Asso nella manica, si fa per dire, il superprefetto Franco Gabrielli, che nel giorno dell’insediamento a consulente per il Giubileo ha giurato che non avrebbe mai preso il testimone di Marino. Mai e poi mai.