L’intervista di Paola Di Caro
In pubblico e in privato, la linea di Giorgia Meloni non cambia: la crisi si può risolvere solo «con il voto». E non per «una questione di nomi», ma di forze politiche non compatibili per un’alleanza in Parlamento. Al Quirinale con il sostegno delle stampelle per un incidente muscolare — «Sono l’immagine del governo Conte…», ci ha riso su — la leader di Fratelli d’Italia non fa aperture: «Non sarò mai in un governo con il Pd e il M5S». Lascia solo uno spiraglio, più simile alla cortesia istituzionale che a un passo avanti: «Se arriverà da Mattarella la proposta di un governo di unità nazionale la valuteremo con serenità. Ma continuiamo a pensare che non sia quello che serve all’Italia».
Il capo dello Stato ha conferito un incarico esplorativo al presidente della Camera Fico: approva? «Non ho elementi per sindacare sulle scelte del capo dello Stato. Certo, era possibile attendersi che — per un incarico esplorativo istituzionale — si potesse ricorrere alla seconda carica dello Stato, la presidente del Senato, peraltro una donna».
Ma il centrodestra chiede elezioni, quasi chiamandosi fuori da diverse soluzioni di governo, anche se vi dite disponibili a «valutare» le decisioni del capo dello Stato. Significa che, sostanzialmente, siete divisi? «A dispetto di ogni lugubre previsione, il centrodestra è stato ed è compatto. Non ci siamo dilaniati, non abbiamo perso pezzi, Conte si è dovuto dimettere perché la sua campagna acquisti con noi è fallita. È stata una grande prova di unità, non scontata visto che la nostra richiesta è quella di andare ad elezioni: al capo dello Stato infatti abbiamo chiesto di valutare se a norma dell’articolo 88 della Costituzione esistano le condizioni per sciogliere le Camere».
Perché escludere così nettamente un’altra soluzione? «Perché qualsiasi governo dovesse formarsi, con Conte o senza, con questa maggioranza che si rimette assieme o con un sostegno più ampio, sarebbe un governo debolissimo. Nel primo caso, assisteremmo a una continua guerra per distinguersi, nel secondo all’impossibilità di mettersi d’accordo per fare le cose che servono al Paese, perché si tratterebbe di forze ancora più diverse e incompatibili di quelle che hanno determinato il fallimento del Conte bis».
Il voto non è incompatibile con l’emergenza? «Falso: in Portogallo stanno votando, altrove lo si farà presto, compreso in Italia dove si terranno in primavera le elezioni per i sindaci delle grandi città. È stucchevole e poco rispettoso degli italiani il ricatto sull’impossibilità di dar loro il diritto di scegliere. Non è vero che saltano le misure urgenti se si va a votare: siamo disponibili a mettere in sicurezza il Recovery, a lavorare sul piano vaccini, a finanziare i ristori se i soldi non li spendono in altre cose inutili come i padiglioni con le primule a 400 mila euro l’uno».
Però anche lei ha sottoscritto la nota sulla disponibilità a «valutare» le scelte del capo dello Stato. Perché? «È il doveroso rispetto che si deve al capo dello Stato se dovesse decidere di non sciogliere le Camere. Sarebbe giusto valutare, certo, ma da me non c’è alcun cambio di linea. Non entrerò mai in un governo con Pd e M5S, perché credo che all’Italia serva un governo forte, coeso, scelto dagli italiani col loro voto».
Lei sa bene però che FI e centristi sono più che disponibili a valutare un governo di unità nazionale. «Ho letto e sentito anche io sfumature diverse, ma confido e spero che il centrodestra resti compatto. Le valutazioni le faremo con serenità quando arriverà il momento di farle, ma nessuno credo vorrà avventurarsi in percorsi che non fanno bene all’Italia».
Scarta a priori l’ipotesi di un governo istituzionale? «Io sarò sempre coerente con le cose che ho sempre detto, a differenza di tanti altri. E al governo con la sinistra non ci vado. Poi questa ipotesi non è attualmente sul tavolo. Ma intanto diciamo no a un Conte Ter, sarebbe inaccettabile. Se mai ci fossero altre ipotesi, come detto, con serenità le valuteremmo. Ma resto convinta che il popolo scelga meglio del Palazzo».
Se a un governo dicesse sì una parte della coalizione e un’altra no, sarebbe la fine del centrodestra? «È già accaduto che alcune forze prendessero strade diverse, poi abbiamo faticosamente ricucito. Certo, la speranza è che non accada, perché poi è difficile ritrovare la compattezza perduta».
Se la sentirebbe di restare fuori da governo di unità? O potrebbe sostenerlo pur non votando la fiducia? «Guardi, i voti di Fratelli d’Italia non sono dirimenti, abbiamo 33 deputati e 19 senatori, non siamo una forza che da sola può cambiare gli equilibri. Quel che è certo è che, come abbiamo sempre fatto anche con questo governo, saremmo pronti a votare i provvedimenti che possono essere utili al Paese pur stando all’opposizione. Lo abbiamo fatto sullo scostamento di Bilancio, in precedenza sui decreti sicurezza e il taglio dei parlamentari. La nostra responsabilità non è mai venuta e mai verrà meno».