MONONGAH: L’URLO DELL’OBLIO
di Gianni Meffe
“Dimenticare il passato significa perdere il futuro” e tra le pagine dimenticate della nostra emigrazione, tanto importante quanto ricca di lacune, troviamo certamente la tragedia mineraria di Monongah. Era il 6 dicembre del 1907 quando le esplosioni avvenute nelle gallerie n.6 e n.8 della miniera di proprietà della Fairmont Coal Company squarciarono il cielo di Monongah, piccolo villaggio minerario del West Virginia. Da quel giorno in poi Monongah rappresenterà il più grande disastro minerario d’America e la più grande tragedia dell’emigrazione italiana.
Sui numeri del disastro non si è mai riusciti ad avere una versione univoca per via dei troppi fattori che impedirono di fare chiarezza all’epoca della tragedia e negli anni successivi. Anche se le cifre ufficiali sono certamente inferiori di quelle reali le stesse spezzano il respiro. Furono infatti ufficializzate ben 362 vittime, in gran parte erano immigrati e ben 171 erano italiane. Per la maggioranza provenivano dal Sud, le regioni più colpite infatti furono il Molise, 87 vittime, la Calabria, 44 vittime, la Campania e l’Abruzzo (che all’epoca formava un’unica regione con il Molise), 14 vittime ognuna. Le altre regioni interessate furono la Basilicata, 6 vittime, la Puglia, 1 vittima, il Piemonte, 1 vittima, il Lazio, 1 vittima ed il Veneto, 1 vittima. Tra i Comuni più colpiti troviamo Duronia, nel Molise, con 36 vittime e San Giovanni in Fiore, in Calabria, con 30 vittime.
Il motivo principale per cui le cifre del Disastro sono da considerarsi inferiori a quelle reali riguarda il fatto che i lavoratori erano retribuiti in base al Buddy System che prevedeva una paga collegata al carbone estratto. Questo metodo di retribuzione permetteva ad ognuno dei minatori registrati di avvalersi di due collaboratori, spesso bambini, che non venivano registrati all’ingresso. Il carbone estratto veniva associato al lavorato attraverso un “bottone” di ottone nominativo, sistemato sui carelli rimandati in superficie. Questa modalità di retribuzione spingeva i minatori a farsi aiutare da paesani e soprattutto da bambini, le cui piccole mani era ottimali per estrarre dalla roccia il carbone. Molti studiosi hanno ipotizzato cifre maggiori per le vittime, qualcuno è arrivato anche a parlare anche di circa 900 morti ma è opinione diffusa che le stesse fossero state circa 500.
I numeri ufficiali sono comunque drammatici e potevano esserlo ancora di più. Infatti il 6 dicembre è il giorno in cui si festeggia San Nicola e molti degli emigranti italiani, ma anche di altre nazionalità di religione ortodossa, non si recarono a lavoro. Molti minatori provenivano da paesi dove il Santo era festeggiato ed onorato e proprio per via di questa devozione quel venerdì sacrificarono una giornata di lavoro e di mancato guadagno per onorarlo, come avrebbero fatto se non fossero emigrati in quel luogo lontano. Non sapevano che la loro fede li avrebbe salvati da una morte certa e grazie a quello che per molti è diventato il “Miracolo di San Nicola” i numeri del disastro non furono peggiori.
Ma cosa successe quel 6 dicembre a Monongah? Erano circa le 10:20 quando il cielo di Monongah fu squartato da due enormi esplosioni causate dalla combinazione di grisou, gas caratteristico delle miniere di carbone, e polvere di carbone avvenute in rapida successione nelle gallerie numero 6 ed 8. Le esplosioni furono cosi violente che la terra tremò a chilometri di distanza, case e edifici nei pressi delle gallerie furono distrutti o gravemente danneggiati, parti del distrutto locale motori furono scagliate a centinaia di metri di distanza insieme a gran parte dell’impianto di aereazione della miniera.
Subito dopo le esplosioni, tra pianti ed urla in decine e decine di lingue e dialetti diversi, arrivarono i primi soccorritori e numerosissime furono le persone che accorsero successivamente da città più o meno vicine per dare il proprio contributo, nella speranza di poter salvare qualche vita o con il desiderio di poter restituire ai familiari almeno un corpoda piangere. Ci vollero giorni per recuperare i corpi dalla miniera, molti erano carbonizzati e sfigurati, in gran parte tanto irriconoscibili da essere reclamati da più famiglie, molti non furono ritrovati.
Non si è mai saputo chi o cosa fosse stato a scatenare l’esplosione, come scaturì la scintilla che lo innesco e chi era il responsabile in solido dell’accaduto. Furono formulate varie ipotesi: qualche linea dei carrelli difettosa, l’imprudenza di un giovane minatore, una disattenzione. Qualcuno parlo anche di una responsabilità da parte della proprietà della miniera, colpevole, per risparmiare energia elettrica, di aver tenuto disattivata l’aerazione delle gallerie, creando così un accumulo di grisou tale da generare esplosioni così violente. Alla fine delle indagini non si arrivo a nessuna condanna, restò la triste realtà che quel giorno la morte si era appropriata di quei tunnel e coloro che riuscirono a sopravvivere furono pochissimi.
La tragedia colpì molto l’opinione pubblica americana, il magnate Andrew Carnegie mise a disposizione un cospicuo fondo per i familiari delle vittime e altre donazioni arrivarono da Nazioni straniere e da privati cittadini. In Italia la notizia arrivo solo in modo sommario e per una serie di fattori ben presto la memoria di questa immane tragedia sparì anche nei piccoli comuni che furono tra i più colpiti. Il succedersi di tragedie minerarie negli USA fece si che dopo non molto tempo anche dall’altra parte dell’oceano nessuno parlasse più del Disastro di Monongah.
Un vuoto che continua anche oggi nei libri di testo scolastici. Nonostante le vittime italiane a Monongah furono più numerose delle 136 che persero la vita a Marcinelle (Belgio) l’8 agosto del 1956, non si trova nessun accenno al disastro e quasi nessuno è conoscenza di quella che è la più grande tragedia dell’emigrazione italiana.
Monongah rappresenta una pagina di storia strappata e poggiata per molti anni tra le cose dimenticate, da dimenticare. Una pagina di storia che è sopravvissuta a fatica, grazie soprattutto al lavoro di Padre Everett Briggs, parroco irlandese di Monongah, che si è speso per il recupero e la salvaguardia della memoria della tragedia. Morto a 98 anni, a pochi mesi dal centesimo anniversario della tragedia, Padre Briggs per il suo impegno ha ricevuto, il 31 maggio del 2004, l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana dall’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi.
In una sorta di staffetta dei ricordi a raccogliere l’eredità di Padre Briggs è stato Joseph D’Andrea, docente originario del Molise ed ex Console Onorario di Pittsburgh che si è speso molto per recuperare le informazioni, le storie ed i racconti relativi al disastro di Monongah, racchiudendole tutte nel suo libro, pubblicato nel 2007, “Monongah. Cent’anni di oblio”.
Tra gli altri studiosi che si sono interessati alla tragedia mineraria di Monongah troviamo il Professore Joseph Tropea e un ruolo fondamentale, per la salvaguardia della memoria del disastro minerario, va riconosciuto alle signore Susy Leonardis e Janet Salvati.
Negli oltre cento anni sono poche le iniziative messe in atto per ricordare la Tragedia di Monongah, quasi tutte concentrate in occasione del triste centenario. Nel cinquantesimo anniversario della tragedia, per volontà di Padre Briggs fu aperta una casa di riposo per anziani, intitolata a Santa Barbara, e nell’agosto del 2007, in occasione del centesimo anniversario la Regione la Calabria ha contribuito alla realizzazione di una statua in marmo di Carrara, denominata l’“Eroina di Monongah”, che è stata installata nei pressi del Municipio di Monongah. L’opera voleva essere un omaggio alle vedove dei minatori e prendeva spunto dalla storia di Caterina Davia, che nel disastro di Monongah perse il marito e due figli, che per quasi trent’anni, giorno dopo giorno, si era recata all’ingresso delle gallerie per prendere un sacco di carbone che poi svuotava nel giardino della sua casa. Con questo suo gesto voleva alleviare il peso che giaceva sui suoi cari, i cui corpi non furono mai ritrovati, e creò una “collina di carbone” di diverse tonnellate e che arrivo a sovrastare la sua abitazione.
Sempre in occasione del Centenario la Regione Molise ha donato alla Cittadina di Monongah una campana commemorativa, realizzata dalla Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone, installata anche essa nei pressi del Municipio di Monongah, il Governo Italiano ha finanziato il recupero del cimitero e l’installazione di un Monumento che ricordasse la Tragedia al suo ingresso, che attualmente è in condizioni critiche, ed il Ministero degli Esteri ha provveduto alla pubblicazione del libro, curato da Norberto Lombardi, “Monongah 1907, una tragedia dimenticata”.
L’associazione culturale “Monongah”, registrata il 6 dicembre del 2011, di cui sono fondatore e presidente si è impegnata in questi anni ad organizzare, oltre le commemorazioni annuali, incontri e convegni per far conoscere la tragedia mineraria. Un altro aspetto importante è quello del recupero della memoria fisica della tragedia, in primis della messa in sicurezza del cimitero di Monongah e del ripristino delle lapidi; infatti, molte sono rotte e in altre le incisioni sono praticamente illeggibili. Nel corso di questi anni abbiamo organizzato anche delle commemorazioni negli USA, il 6 dicembre del 2014 e soprattutto il 6 dicembre 2017, in occasione del 110° anniversario del disastro. In quest’ultima occasione sono stati organizzati anche degli incontri a Washington, insieme all’Ambasciata d’Italia, e New York, al Consolato Italiano. In previsione di questa commemorazione sono stati raccolti dei campioni di terreno, provenienti da molti comuni italiani colpiti dalla tragedia. Gli stessi raccolti in due teche commemorative sono stati consegnati, congiuntamente ad una pianta di ulivo, alla Parrocchia Cattolica del Santo Rosario di Monongah e alla Città di Monongah. Le iniziative messe in atto, che hanno ricevuto numerosi patrocini, oltre che alla medaglia di rappresentanza dell’allora Presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, e di un messaggio personale, in occasione della commemorazione del 2017, da parte del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella.
Nel disastro minerario di Monongah morirono ben 171 italiani, ma furono migliaia gli italiani che persero la vita nelle miniere americane, sfruttati come nessun altro popolo per alimentare la fame di energia degli Stati Uniti d’America che avevano fretta di ratificare il loro predominio geopolitico ed economico. Tragedie dimenticate non solo quando le vittime erano poche ma anche quando erano centinaia e basti pensare a Monongah e Dawson, oggi città fantasma del Texas, dove si verificò un’altra tragedia che solo in pochi conosciamo.
Da quelle miniere, da quei sacrifici è emerso il valore degli italiani e la voglia di rivincita che ha da sempre caratterizzato, insieme alle straordinarie capacità, la nostra emigrazione. Sono figli e nipoti di quei minatori che scavavano nelle viscere del West Virginia molti personaggi importanti della vita pubblica ed economica degli Stati Uniti ma anche del Canada, considerando che dal West Virginia spesso gli emigranti italiani si spostarono verso Stati, come Ohio e Pennsylvania, e Paesi più ricchi, come appunto il Canada.
Tra di loro spicca certamente Joseph “Joe” Manchin III (Mancini) potentissimo senatore democratico per lo stato della Virginia Occidentale e in precedenza governatore dello stesso stato dal 2005 al 2011. Manchin, radici calabresi, è colui che nel dicembre del 2021 ha affondato il “Build Back Better” del Presidente Joe Biden, il mega pacchetto da 1.750 miliardi di dollari proposto dal capo della Casa Bianca per riformare la società americana.
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Gianni Meffe
attualmente Sindaco di Torella del Sannio è Presidente e fondatore dell’“Associazione Culturale Monongah”, nonché delegato per il Molise del Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo e componente del Direttivo nazionale dell’associazione fondata dall’indimenticabile Mirko Tremaglia.
Scopre da bambino la tragedia mineraria di Monongah che non solo ha colpito il suo comune (12 vittime) e quello della madre, Fossalto (8 vittime), ma anche la sua famiglia che ancora oggi vive in parte a Monongah e nelle località limitrofe.
Nel 2007, occasione del centenario del disastro minerario, fa parte del comitato organizzatore, in rappresentanza del suo comune, e si reca a Monongah con la delegazione molisana che donerà, grazie alla Regione Molise, una campana commemorativa realizzata dalla Pontifica Fonderia Marinelli di Agnone (Molise). Negli a seguire si reca altre due volte a Monongah ed è stato promotore di numerose iniziative, sia in Italia che negli USA. Per il suo impegno è stato insignito, il 27 dicembre del 2020, del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica dal Presidente Mattarella.
Per maggiori informazioni: www.monongah.it e www.giannimeffe.it