Equilibri. Dalla guerra delle candidature esce vincente l’area cattolica di Alfano, di Lupi e della forte componente ciellina.
La fuga di Cosentino con le firme dei candidati campani e l’inseguimento on the road di Denis Verdini rimarranno un cult di questa fase tragicomica della politica italiana; ma al netto delle rassicurazioni di Berlusconi e della soddisfazione di Alfano per l’elimazione di alcuni “impresentabili”, il Pdl è oggi un partito lacerato, attraversato da profonde tensioni che potrebbero condizionare la rimonta che il Cavaliere sta effettuando da solo. A vedere la probabile composizione nel futuro Parlamento, il Pdl sarà un partito molto diverso da quello che abbiamo conosciuto fin ora. Queste liste hanno sancito un nuovo equilibrio di forze ed una nuova configurazione della mappa del potere.
Il primo dato è la scomparsa degli ex An, che rappresentavano circa un quarto dell’intero Pdl. Già indebolita dall’uscita di Giorgia Meloni e di Ignazio La Russa e dalla nascita di Fratelli d’Italia che ha drenato gran parte della migliore classe dirigente, la destra identitaria è stata praticamente cancellata. Gli ex colonnelli ricoprono ormai ruoli marginali e isolati: Maurizio Gasparri è riuscito a difendere a malapena sé stesso; Altero Matteoli ha garantito qualche posto ai suoi nella ridotta della Toscana, forte del patto di ferro che da sempre lo lega al potente Verdini; il sindaco di Roma Alemanno, un tempo capo della corrente della Destra Sociale, è riuscito solamente a salvare il posto nel Lazio ai due suoi più fidati parlamentari: Barbara Saltamartini e Vincenzo Piso; mentre Andrea Augello ha faticato a trovare un posto per sé. La questione non è di poco conto, perché l’area An nel Pdl è tuttora una forza radicata sul territorio con sindaci, amministratori locali, consiglieri provinciali e regionali ed è probabile che la perdita di rappresentanza parlamentare porterà molti di questi a cercare nuovi interlocutori fuori dal Pdl, magari verso la stessa Meloni che tra l’altro, a differenza degli ex colonnelli, ha una leadership forte, carismatica e innovativa.
L’altra componente cancellata è quella liberale: eccezion fatta per Antonio Martino e Giancarlo Galan, capilista in Sicilia e in Veneto, ed Enrico Costa unico piemontese candidato in Piemonte, ciò che fu il cuore progettuale della famosa “rivoluzione liberale” pensata da Berlusconi è ora un elemento marginale del progetto politico del Pdl. Il paradosso è che nella scorsa legislatura sono stati proprio i liberali di Martino ad osteggiare con forza il governo Monti mentre buona parte del Pdl flirtava con il professore e lo definiva “il nuovo de Gasperi”. Anche qui, il rischio che alcuni di loro, dopo le elezioni, cerchino riparo altrove, è concreto. Magari nel nuovo movimento di Oscar Giannino se ce la farà ad entrare in parlamento; o sempre in Fratelli d’Italia, dove l’altro leader Guido Crosetto rappresenta una destra liberale più politica e meno mercantilista di quella di Giannino.
Dalla guerra delle candidature chi esce vincente è l’area cattolica rappresentata da Alfano, da Lupi e dalla forte componente ciellina. Il Pdl modifica la sua natura da partito liberale e identitario a partito centrista, espressione di quel popolarismo cattolico radicato e in linea con le esigenze imposte da Bruxelles. Questo, probabilmente, avrà ripercussioni nella strategia politica quando, all’indomani del voto, nell’impossibilità che il Parlamento esprima una maggioranza chiara sarà necessario costruire una coalizione che sia di transizione per il paese. L’anti-montismo della campagna elettorale voluto da Berlusconi potrebbe essere velocemente superato se esigenze superiori imporranno accordi con Monti e Casini.
Berlusconi ha fatto il massimo. Ha difeso la sua pattuglia di fedelissimi, una trentina circa, e ha riportato in corsa il suo partito; ma molte regioni sono in rivolta per come le candidature sono state scelte o imposte secondo l’unica regola che è stata quella dell’assenza di regole.
Cosa succederà dopo è difficile prevederlo: forse l’eliminazione di molti componenti normalizzerà il partito attorno alla segreteria di Alfano; oppure aprirà la crisi definitiva. Il Pdl rischia di essere un cartello elettorale buono per arrivare alle elezioni, forte di un intramontabile leader carismatico ma destinato a decomporsi velocemente subito dopo.
di Giampaolo Rossi da Il Tempo